Ma stanotte fa caldo e vorrei un attimo rifiatare. L’occasione
per rilassarmi arriva dritto dal garage di casa. L’altra sera rincasando mi sono reso conto di fare fatica
ad uscire dalla macchina. Lo sportello non si apriva del tutto perché andava ad
incastrarsi in scatole, scatoloni, scatolette di ogni tipo. In quel momento ho
realizzato che o uscivano un po’ di cianfrusaglie dalla rimessa o avrei dovuto lasciare la macchina fuori dal
garage.
Detto fatto. Ieri mattina il
furgoncino dello sgombra cantine era pronto davanti alla serranda per
inghiottire, una marea di cianfrusaglie. Certo molte carabattole hanno fatto
parte della mia vita, quanti ricordi i ragazzi del furgoncino stavano caricando
nel cassone! Ma se ci si fa impietosire dai ricordi allora i garage non lo si
sgombera mai. Così ho lasciato l’incombenza della cernita ai mie vecchi
genitori e mi sono dedicato ad altre faccende fuori città.
Al mio ritorno, il
garage si era allargato di svariati
metri cubi dopo l’impietosa raccolta dei
rigattieri, non me lo ricordavo così grande. Su uno scaffale sgravato da una
serie di pesanti e arrugginiti fardelli, restava una scatola con sopra una
scritta a pennarello: “Foto Luciano”. Le
solite foto in bianco e nero delle mamme, nonne, zie, dei natali delle pasque e
delle gite al mare. Che noia, anche se la curiosità di rivedere quegli scatti
testimonianza di altre ere, un po’ mi solleticava.
Così ho deciso di aprire la
scatola e di tuffarmi in quell’atmosfera
anni ’60 in bianco e nero sbiadito. Ma da quello scatolone, con mia
sorpresa, non è uscita la faccia preoccupata della nonna o la mia icona
bimbesca fotografata nelle più
disparate pose. Da quella scatola sono emerse le foto che all’inizio degli anni
’80 mi divertivo a scattare con la mia reflex in ogni dove. Era quello il periodo del “vieni
avanti creativo”. La fissa del creativo.
Qualsiasi azione, anche la più banale, come lavarsi la faccia, doveva possedere
un chè di creativo.
Era il tempo in cui
ci si credeva degli intellettuali, si ascoltava jazz, lo si provava a suonare. Compatibilmente alla disponibilità finanziaria
si andava ai concerti ad applaudire i nostri eroi jazzisti. Si leggeva Kerouac , Garcia Marquez, Musica
Jazz e il Manifesto, che a dire il vero
leggo ancora oggi. La pipa nell’angolo della bocca, era una costante. Spesso si tirava tardi, fra una boccata di fumo ed una
sorsata di grappa. E ancora più spesso si restava stecchiti stesi per terra ubriachi duri.
Nell’era del “vieni avanti
creativo” non si poteva scattare una foto normale. Che orrore inquadrare un
soggetto, messo bene a fuoco, con la giusta apertura d’obbiettivo, il tempo di
posa necessario e scattare. Giammai! Ci si doveva inventare artifizi,
esposizioni prolungate, con il rischio di buttare il rullino, o anche creare collage di foto, combinare immagine
fotografica con disegni e pitture. Così come era blasfemo mettersi ad ascoltare
Baglioni, Umberto Tozzi o peggio vedere Sanremo. Ecco da quello scatolone è saltata fuori un
pezzo della mia vita. Bello brutto, non saprei definirlo, ma sicuramente
fondamentale per me, per il mio modo di socializzare e vivere in mezzo agli
altri.
Stanotte ho deciso, di rendere pubblico questo mio ricordo , ovviamente in
modo creativo! Per cui propongo, in una videoclip, quelle foto, corredate da un
commento musicale tipico del periodo. Eighty One di Miles Davis è il pezzo che
accompagna il susseguirsi delle immagini. Il brano è tratto dall’LP, allora si
chiamavano cosi, ESP, registrato nel
1965, dove Miles suonava insieme al suo quintetto delle meraviglie, con Wayne
Shorter al sax tenore, Herbie Hancock al pianoforte, Tony Williams alla
batteria e Ron Carter al contrabbasso. Proprio Ron Carter ha suonato la
settimana scorsa ad Atina Jazz, beato che è riuscito ad andarlo a vedere!
Compagne, compagni, amiche, amici, volsche e volsci di Aut, chiedo scusa per
questa deriva autobiografica, ma serviva a rilassarsi un po’. Da domani
ricominceremo le nostre battaglie, contro Ottaviani, Renzi, le banche il
capitalismo e compagnia cantando, stasera è andata così.
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