Il 22 luglio 1927, esattamente 90 anni fa, in Via degli
Uffici del Vicario al n.35 nasceva l’AS Roma. Primo presidente l’on. Italo Foschi.
Per chi ama la Roma il 22 luglio è una data storica. Ma anche per la storia
del calcio quel 22 luglio può essere considerato un giorno importante. Di
seguito pubblico il racconto di questa nascita tratto da “La storia illustrata della Roma” una pubblicazione, curata dal giornalista e scrittore Lino Cascioli, uscita nel 1986 per "Edizioni Casa dello Sport".
Auguri splendida novantenne
Luciano Granieri
L’intesa venne raggiunta nel tardo pomeriggio. Faceva caldo
e aprirono le grandi finestre per respirare un poco e concedersi una pausa. “Allora siamo
d’accordo” disse l’on. Foschi “ la chiameremo Roma”. Dal cortile salì un fresco
odore di terra appena bagnata. Erano
andati avanti per ore , senza un’oscillazione, evitando con cura ogni possibile
avversità, quasi per vincere una scommessa segreta, a tutti sconosciuta. Fu
allora che Vincenzo Biancone improvvisò un discorsetto, mentre i fratelli
Crostarosa , da buoni padroni di casa, facevano saltare i tappi alle bottiglie
dello champagne: “Abbiamo messo in piedi un’intesa, adesso dobbiamo costruire
un società. E insieme alla società dobbiamo costruire una squadra. Il nostro
dovere è di farla subito grande, altrimenti avremmo sbagliato tutto e alzeremmo
i calici per salutare un generoso fallimento”. “E’ forse obbligatorio diventare
grandi?” Chiese Sebastiano Bartoli, nominato da pochi minuti segretario.
Faceva mostra di scherzare , parlando così, ma tutti sapevano
quanto anche lui ci credesse. E avevamo ragione, in fin dei conti. La lenta e
difficile ascesa del calcio romano aveva
messo in luce un ’Alba all’ultimo posto del girone A e la Fortitudo all’ultimo
posto del girone B. Avendo conquistato anche la Lazio il diritto alla serie A,
nel 1927-28 ci sarebbero state tre
squadre di Roma nel massimo campionato. Da qui era partita l’idea che aveva portato
alla nascita della Roma: meglio una squadra forte che tre squadre deboli. Ma la
Lazio rifiutò subito sdegnosamente ogni accordo, gelosa della sua tradizione.
Il suo presidente rispose che preferiva i giornalieri disinganni all’aspro
fiele di dover rinnegare la bandiera. Ed erano poi tanto sicuri che il conto
sarebbe tornato, come calcolavano nei loro sogni, il marchese Sacchetti,
Scialoia e i Crostarosa?
L’idea
piacque invece ai dirigenti del Roman
(nato nel 1903), della Fortitudo (1906) e dell’Alba (1911), che si erano dati
appuntamento per quel pomeriggio del 22 luglio 1927 in Via degli Uffici del
Vicario 35, nel cuore della vecchia Roma. “Non è mica obbligatorio diventare
grandi: ribattè Pietro Crostarosa, “all’inizio potremmo anche contentarci di
stare nel mezzo”.”Oh” rispose Vincenzo Biancone “questo è l’ultimo pericolo che
corriamo veramente”. Poi, per non sembrare polemico, girò il discorso su alcune
questioni marginali da risolvere.
Il mondo era alle soglie della prima, pesante recessione economica,
e ormai lontano dai fantasmi tragici della guerra mondiale. In Italia Mussolini
stava raggiungendo la consapevole pienezza del potere, e imponeva ormai
l’arrogante autorità del Partito Nazionale Fascista in ogni settore della vita
del paese, comprese le attività ricreative e gli sport. Il calcio era stato
assimilato a questa logica da pochi mesi ed erano già partite direttive per
riorganizzarlo in base a criteri più consoni alle nuove esigenze della politica
nazionale: girone unico, squadra azzurra più competitiva sulla scena mondiale,
ecc.
Il campionato organizzato su basi provinciali, fino ad
allora aveva proceduto impavido tra la beatitudine e il lacrimato dramma,
alimentando la passione in dosi minime, innocue, borghesi. Bisognava
esasperarne i contorni. I giocatori tesserati erano già 38.000, con circa 2.000
arbitri. Nei programmi dei nuovi dirigenti
nominati dal Partito presero corpo norme intese a incoraggiare il
trapasso dal dilettantismo sospetto al professionismo dichiarato. Le grandi
società del passato, di stampo agricolo e provinciale , come la Pro
Vercelli il Casale, dovettero cedere il
posto alle ambizioni delle squadre metropolitane.
Ormai soltanto i grandi stadi
Avrebbero infatti potuto ospitare quelle manifestazioni di massa capaci di
garantire la coreografia del consenso di cui si compiaceva i fascismo. Il primo
a recepire questo messaggio e a seminare tra le moltitudini di una grande città
il calore di un sogno di evasione fu Edoardo Agnelli, ponendo subito le basi
per trasformare in pochi anni la scialba Juventus, che aveva vivacchiato sino
ad allora, nella Signora degli scudetti. Le cinque consecutive vittorie dei
bianconeri, tra il 1930 e il 1935, furono il sintomo più chiaro del mutamento
dei tempi e che il calcio stava ormai
lievitando come industria dello spettacolo. Anche la Roma nasce dai fermenti di
queste nuove esigenze. I suoi dirigenti
avevano già fatto la scelta, disdegnando l’ombra mediana di un destino anonimo,
sospinti da qualche forza più intensa del loro stesso orgoglio. Ma c’erano
ancora molti problemi da risolvere febbrilmente.
Il primo nodo da sciogliere dopo il brindisi, fu la scelta
dei colori sociali , mentre strisce di caligine offuscavano il cielo serotino.
Si dissero però tutti d’accordo nel prediligere la maglia del Roman, rossa
bordata di giallo. Erano i colori del comune di Roma. Colori che scioccamente i
dirigenti della Lazio avevano snobbato, classicamente infatuati, agli albori
del secolo, del mito greco di Olimpia. Insomma avevano scelto quelli della
bandiera greca , con una decisione elitaria aristocratica , incomprensibile
alle masse, che invece accorsero subito al richiamo di Roma e dei vessilli
capitolini. E questo forse serve a spiegare perché la Roma fu subito squadra
visceralmente popolare, cara alla gente dei vecchi rioni e de suburbio.
Ma la discussione si riaccese con un accanimento senza
precedenti quando si trattò di scegliere il campo capace di ospitare tutti i
tifosi delle tre squadre. La Fortitudo giocava su campetto della Madonna del Riposo,
l’Alba in un prato dove adesso c’è Piazza Melozzo da Forlì e il Roman in Viale
Tiziano. Questi tre campi furono però tutti scartati. La preferenza venne data,
in via provvisoria, al Motovelodromo Appio, che bisognava però riadattare alle
nuove esigenze, in attesa di costruire
uno stadio di proprietà della Roma, accanto al monte dei cocci di Testaccio,
ricalcando il modello di quello
dell’Everton a Liverpool.
Un altro problema spinoso da risolvere fu quello della
squadra. Bisognava rinunciare a circa trenta giocatori, scegliendo tutti i
migliori, ma Italo Foschi non si lasciò sgomentare. Fu deciso di affidare
l’incarico ad una commissione tecnica composta da Pietro Crostarosa, Danilo Baldoni,
Vincenzo Bianconi, Amerigo De Bernardinis e Giuseppe Stinchelli. La discussione si fece così animosa e serrata
che spesso dovette intervenire, come paciere, lo stesso presidente. Alla fine
fu stabilito di mettere a disposizione dell’allenatore Garbutt (strappato al
Genoa) una rosa di ventotto elementi. Tredici avevano militato nella Fortitudo,
dieci provenivano dall’Alba, cinque infine vennero scelti dal Roman.
Ormai la notte afosa gravava su quegli uomini stanchi come
una spessa tavola di ferro. Lungo il filo smussato dei vecchi palazzi che
circondavano Piazza Montecitorio, passavano uomini e cavalli.
Nominato prefetto a La Spezia, l’on. Italo Foschi fu presidente per poco
tempo.
La Roma scese per la prima volta in campo sul terreno del
Motovelodromo Appio, il 28 luglio 1927, battendo gli ungheresi dell’Ujpest per
2-1. Il primo gol messo a segno da un giocatore in maglia giallorossa venne
realizzato dalla mezzala Cappa. Fu il Livorno la prima formazione italiana che sfidò la Roma. I giallorossi vinsero con
un gol di scarto (3-2) e il centravanti Bussich, al suo esordio, mise a segno
due gol. Intanto bisognava superare
l’ostacolo dell’iscrizione al campionato.
L’iscrizione della Roma era
osteggiata dalla Lazio, allora molto influente a livello federale, e dalle
società del nord, che cercavano di impedirle l’attività agonistica ufficiale
condannandola allo stato di mora per un anno. La situazione era imbarazzante.
Un giornale di Milano, tanto per spiegare il clima con cui era stata salutata
la nascita della nuova società, scrisse infatti in quei giorni: “Questa Roma è
solo un sogno di mezza estate”.
Invece la soluzione per iscrivere la Roma al campionato
venne offerta da un’altra fusione, quella tra Doria e Sampierdarenese nella
Dominante, per cui la squadra giallorossa potè regolarmente disputare il
campionato, il 25 settembre 1927, incontrando il Livorno. La Roma vinse 2-0 con
gol di Ziroli e Fasanelli.
Il primo successo di un certo prestigio della nuova squadra
fu però la vittoria della Coppa CONI, un torneo
a due gironi che impegnava le quattordici squadre escluse dalle finali per lo scudetto. La Roma
battè in finale il Modena sul campo neutro di Firenze e l’annuncio della sua
vittoria, comunicato da un cartello esposto al balcone della redazione romana
della “Gazzetta dello Sport”, suscitò tale entusiasmo da bloccare il traffico
per le vie del centro.
I romani avevano già eletto la Roma a squadra del
cuore e accolsero con tutti gli onori
Fulvio Bernardini, che Renato Sacerdoti, diventato nel frattempo presidente
della società, aveva strappato all’Inter. Per l’esordio di Fulvio (Roma-Genoa
5-3) vennero fissati prezzi da capogiro: un biglietto dei popolari costò 5
lire, uno dei distinti 10 e un posto in tribuna centrale addirittura 20 lire!
In seguito a questa politica esosa da
parte della società nacquero le prime polemiche, ma vennero presto dimenticato
allorchè il grande “Fuffo”, schierato centravanti, mandò subito tutti in
delirio mettendo a segno due gol.
I primi derby furono disputati nella stagione
1929-30 la prima a girone unificato per cui Roma e Lazio si trovarono per la
prima volta di fronte. L’8 dicembre 1929 su disputò il primo derby sul terreno
dei biancazzurri. Manco a dirlo vinse la Roma per 1-0 con un gol di Volk
realizzato nella ripresa. Nella partita di ritorno disputata il 4 maggio 1930,
la vittoria della Roma fu ancora più netta (3-1) con reti di Bernardini, Volk e
Chini. Per la Lazio segnò Pastore. La lunga storia di vittorie del popolo
giallorosso contro l’aristocrazia
biancazzurra era iniziata.
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