1 maggio 1983.
Io e Mauro, non ricordo per quale motivo, non potemmo andare allo stadio ad assistere a Roma
Avellino. Una giornata importante perché con una vittoria la Roma di Di Bartolomei
Falcao e soci, poteva matematicamente vincere lo scudetto con due giornate d’anticipo. Un peccato non
esserci, dopo aver gioito, ma anche sofferto, quasi tutte le domeniche nel
seguire dalla curva sud le gesta dei ragazzi di Liedholm. Con Mauro ci siamo dati appuntamento a casa sua. Dopo aver visto il gran premo di Imola finito con
una rocambolesca vittoria di Tambay sulla Ferrari, ottenuta a seguito di un fuori pista all’ultimo giro di Riccardo Patrese che fino
ad allora aveva dominato la gara, decidiamo
di
fare un giro in macchina con la
radio a palla ascoltando tutto il calcio minuto per minuto. Peccato, veramente peccato non essere allo
stadio. La prima notizia arriva da Torino, dove l’Inter passa in vantaggio
sulla Juve con Altobelli. Se vinciamo siamo campioni d’Italia. Mauro ed io
parliamo a mono sillabi, lui non riesce più a guidare. Realizziamo che conviene
fermarsi per evitare incidenti. Parcheggiamo davanti al palazzo della Provincia.
C’è una punizione per la Roma. Centi commette fallo sul capitano Di
Bartolomei. Falcao batte e da venti
metri fa partire un missile terra aria che si infila in rete. Uno a zero. Classifica: Roma 40, Juve 35. Roma
campione d’Italia. Apriamo le portiere Mauro scende e comincia a girare intorno
alla macchina. Io rimango con un piede fuori e l’altro dentro a tormentare il
tappetino. Punizione per l’Avellino. Calcia Vignola ma il suo
tiro fortunatamente ha una sorte diversa rispetto al bolide di Falcao, si
stampa sulla traversa e la Roma si salva. Più attenzione accidenti! bisogna
portarla a casa a tutti i costi. Mentre continuiamo
tutti e due come scemi a girare intorno
alla macchina, dalla radio irrompe l’esplosione dell’Olimpico. Dopo un azione
tambureggiante la palla arriva a capitan Di Bartolomei. Gran botta d’esterno
destro e la rete alle spalle di Tacconi si gonfia per il due a zero. Ancora il capitano, ancora Di
Bartolomei con il suo 7° sigillo stagionale stava per far entrare la Roma nella
storia. Mauro non si tiene, imbocca verso Via Firenze, anch’io
scendo dalla macchina e comincio a camminare, direzione Via Brighindi. Probabilmente
lasciamo la macchina con gli sportelli aperti, la radio accesa e le chiavi
infilate nel cruscotto. Non so cosa sia successo nei minuti successivi, non mi
ricordo dove sono andato, se sono rientrato in macchina. Eravamo ebbri di gioia. Ma quando
siamo tornati in noi, la Juve aveva pareggiato con Bettega. Roma 40, Juve 36.
Lo scudetto non era vinto, ma a Genova la domenica successiva, sarebbe bastato
un paraggio per chiudere il discorso. Sarebbe stata una formalità. Lo capimmo
vedendo nel corso di “Novantesimo minuto l’esultanza irrefrenabile di Agostino
Di Bartolomei dopo il gol del 2 a 0. Mai Agostino, un calciatore estremamente
lucido e compassato aveva festeggiato così. Un esultanza del genere significava
una sola cosa “SCUDETTO”.
25 aprile 1984
E’ un pomeriggio dalle temperature estive, nonostante sia
aprile. Il sole picchia sulle gradinate della curva. La sud è festante come al
solito, anche se la paura di non riuscire a ribaltare lo zero a due rimediato a
Dundee contro il Dundee United, si percepiva
forte e chiara. Con Alberto, ed altri amici, avevamo visto la partita d’andata, persa in Scozia, nella sua casa di Pomezia. In una triste serata, piovosa Derek Starks e David Dodds ci mandarono di
traverso la pizza e la birra che stavamo consumando davanti alla TV. Ed ora
eccoci a spingere dalla curva Di
Bartolomei e compagni affinchè segnassero i tre gol necessari ad andare in
finale senza subirne alcuno. La paura si tramuta in fiducia vedendo giocare la
squadra. Del resto avevamo già rifilato
tre gol alla Dinamo di Berlino, dunque si
poteva fare . Undici uomini
facevano correre il pallone come se la certezza di riuscire a passare il turno
fosse granitica . Bruno Conti và in gol
ma l’urlo ci si spezza in gola. La rete è annullata per fuori gioco. Il terrore
si materializza qualche minuto dopo quando su un cross di Bannon, Milne a
porta vuota spedisce in tribuna. Ma non c’è problema. Roberto Pruzzo è in
grande spolvero . Angolo di Bruno Conti, girata di testa del bomber ed è uno a
zero. Nelle gradinate succede il parapiglia, salto ad abbracciare Alberto e gli
altri ragazzi. Ma ci ricomponiamo subito. La strada è ancora lunga. Lancio
millimetrico di Di Bartolomei per Maldera, il quale manda in area per Pruzzo. Stop
di petto e giravolta in scivolata per il
due a zero. Pari e patta. Stavolta l’esultanza è quasi incontenibile. Un massa
umana mi salta addosso urlante e festante. Fine primo tempo. Tutti pensano “E’
FATTA” ma nessuno osa dirlo. C’è da segnare ancora, e soprattutto non bisogna
prendere gol. La Roma non si scompone. Nel secondo tempo scende in campo con la freddezza e la calma dei forti e infatti dalla nostra
metà campo, Graziani serve sulla corsa Cerezo, da questi a Conti che libera
Pruzzo tutto solo davanti al portiere.
Ma per entrare nella storia serve lui il capitano. Agostino di Bartolomei. Così Pruzzo viene atterrato dal portiere Mc
Alpine e sul dischetto del rigore va Di Bartolomei. Freddo come al solito,
senza neanche prendere la rincorsa spiazza il portiere scozzese. Tre a zero e che la festa abbia
inizio. Alberto comincia a saltare come tarantolato. Nella bolgia degli
abbracci gli cadono gli occhiali e lui ci salta sopra riducendoli in poltiglia.
Solo a partita finita Alberto realizza della gravità del danno. Ma per una
finale di Coppa dei Campioni, si possono anche ricomprare un paio di occhiali anche
se cososi. Ancora Di Bartolomei, l’umile ma autorevole capitano. IL CAPITANO,
prima dell’avvento di Totti ovviamente, aveva segnato l’ennesima pagina importante nella storia della Roma. L’ultima
immagine che ricordo di quella giornata è la passeggiata con Alberto orbo ed
altri amici per Via del Corso, attorniato di bandiere giallorosse con i colori di un tramonto mozzafiato che abbellivano, l’improbabile sagoma dell’Altare
della Patria in fondo alla strada. Uno
degli artefici di queste intense emozioni sportive, Agostino Di Bartolomei, il 30 maggio di vent’anni fa
decideva di farla finita con la vita, sparandosi un colpo di pistola alla
tempia. Non so se avrà pensato prima di spararsi a quanti
momenti belli, come quelli che ho appena descritto, aveva regalato a centinaia
di migliaia di persone. Chissà magari questo pensiero avrebbe fermato la sua
mano suicida. Non so se sarebbe bastato. So solo che personalmente devo ringraziarlo per avermi
regalato delle piccole gioie. Perché le gioie del calcio sono piccole, non ti
cambiano la vita, ma aiutano. Grazie Capitano.
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