Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

venerdì 1 agosto 2014

FARAH: NON SI CANCELLA LA MEMORIA

Samantha Comizzoli


Oggi Farah è un campo profughi di 7000 persone nato nel 1948. Le famiglie sono arrivate qui con la Nakba da Haifa e Jaffa. Vivevano sul mare e ora al mare non possono nemmeno andarci, così come a Gerusalemme.
L'insediamento illegale israeliano più vicino è Elon Moreh, ma tutte le notti nel campo arrivano i soldati israeliani sparando e rapendo shebab o bambini. Attualmente 20 shebab del campo sono in prigione, la maggior parte di loro sono in detenzione amministrativa. 4 di loro sono bambini. Il campo ha avuto 40 martiri, uno di loro è in detenzione; ovvero non hanno ridato il corpo alla famiglia. Il martire si era fatto esplodere a Gerusalemme, Mohammed Azaul, e sperano di riaverlo quest'anno per dargli degna sepoltura. Ora è nel cimitero dei numeri.
Farah ha uno dei più grandi campi dal calcio della West Bank. Farah è famosa per gli shebab e per la tradizione di Resistenza. Quasi tutti qui sono stati detenuti da israele fra la prima e la seconda intifada. Tutte le Donne qui hanno figli o mariti feriti, uccisi o detenuti.
Ma Farah è conosciuta in Palestina per un altro motivo: qui vi era un'orribile prigione.
La prigione di Farah è stata un “dono” degli inglesi, ma nel 1982 viene presa sotto il controllo israeliano e da Ariel Sharon. Diventa un posto dove rinchiudere gli shebab.
Nel 1995, dopo gli accordi di Oslo, Arafat chiude la prigione e la trasforma in un centro sportivo; dove c'è appunto il campo da calcio.
I componenti della sede municipale di Farah ci accompagnano dentro all'ex prigione. Il responsabile è stato detenuto qui, per due anni e ci fa da cicerone...
Nel giardino ci sono bellissime palme e fiori, dall'esterno sembra una bellissima fortezza. All'entrata c'è una scrivania, è tutto pulito e ben imbiancato. Quell'entrata, una volta, era il luogo dove si svolgevano i “falsi” processi.
E da qui in poi...inizia l'orrore.                                             
C'è un primo corridoio che porta in un luogo all'aperto, vicino ad un muro. Quando i prigionieri passavano quel corridoio dovevano fermarsi nel luogo all'aperto, denudarsi davanti ai soldati (uomini e donne) e stavano lì, in piedi, perchè in quel momento dovevano dimenticare il loro nome e imparare la loro nuova identità: un numero. Mentre erano lì, nudi, davanti ai soldati succedeva un po' di tutto, soprattutto nei confronti delle prigioniere donne e dei bambini. Chi faceva resistenza volontaria o involontaria nell'imparare il proprio numero, veniva sbattuto contro quel muro. L'attuale responsabile se lo ricorda bene quel muro. Segue subito un altro orrore... ci sono dei quadrati di cemento che fanno da sedute. Lì sopra venivano legati due a due i prigionieri di schiena fra loro e con le mani legate dietro alle loro schiene. Restavano lì per ore, sotto al sole e i soldati gli tiravano le pietre in testa. Ci dicono di due bambini, legati lì, e dei soldati che gli stavano davanti e ci fanno intendere che i soldati si masturbassero davanti addosso ai bambini.
Subito dopo c'è un altro muro, bianco, perchè è stato imbiancato, ma non sono riusciti con quel bianco a coprire quello che c'era sotto...ci sono i nomi dei prigionieri che loro stessi hanno inciso nella pietra.
Ed ecco un altro corridoio che porta alle celle d'isolamento. Le celle sono larghe circa 80 cm e lunghe circa 1 mt e mezzo, senza bagno. Dentro a quelle celle ci restavano minimo 18 giorni. Lì dentro gli veniva passato il cibo da sotto la porta e urina e feci stavano sul pavimento, perchè appunto, non c'era il bagno.
Anche qui israele prima di lasciare lo stabile ha imbiancato le pareti nel tentativo di coprire cosa succedeva là dentro. Ed in effetti il sangue alle pareti è stato coperto, ma anche qui, non hanno potuto coprire quello che i prigionieri avevano inciso nel muro: i loro nomi, i nomi di chi amavano, i calendari e i giorni che passavano.
Esco nel giardino, bellissimo, ma per quanto con la bellezza abbiano fatto quel luogo un centro sportivo; è un luogo dell'orrore che nessuno può dimenticare e si respira nell'aria..l'odore della tortura e della violenza.
Parlo con il responsabile che è stato, appunto, due anni lì dentro. Mi dice che ha scritto un diario in quei due anni e che lo legge spesso ai suoi figli perchè devono sapere chi è il mostro e devono essere preparati. Mi dice anche che teneva i noccioli delle olive che mangiava in carcere per fare il rosario musulmano e pregare. “Ho ancora tutte quelle cose fatte con il nulla in prigione, anche se una notte i soldati sono entrati in casa mia e mi hanno rubato un po' di quelle cose. Spero di riaverle”.

Farah, la memoria non la si può cancellare con un'imbiancatura alle pareti. La prigione di Farah è un lagher israeliano dove torturavano i Palestinesi.


FOTO CLIP A CURA DI LUCIANO GRANIERI

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