Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

mercoledì 20 agosto 2014

Il nuovo PKK: una rivoluzione sociale si scatena in Kurdistan

Rafael Taylor – 18 agosto 2014   fonte: Z Net Italy

Esclusi dai negoziati e traditi dal Trattato di Losanna del 1923 dopo aver ricevuto la promessa di uno stato proprio dagli alleati della prima guerra mondiale nel corso della divisione dell’impero ottomano, i curdi sono la più vasta minoranza priva di stato del mondo. Ma oggi, a parte un ostinato Iran, restano sempre meno ostacoli a un’indipendenza curda de facto nell’Iraq settentrionale. Turchia e Israele hanno promesso sostegno mentre Siria e Iraq hanno le mani legate dalla rapida avanzata dello Stato Islamico (ex ISIS).
Con la bandiera curda che sventola alta su tutti gli edifici ufficiali e i peshmerga che tengono a freno gli islamisti con l’assistenza da tempo in ritardo dell’aiuto militare statunitense, il Kurdistan meridionale (Iraq) si unisce ai suoi compagni del Kurdistan orientale (Siria) come seconda regione autonoma de facto del nuovo Kurdistan. Hanno già cominciato a esportare il proprio petrolio e hanno riconquistato Kirkuk, ricca di petrolio, hanno il proprio parlamento laico eletto e una società pluralista, hanno presentato la propria richiesta di riconoscimento dello stato all’ONU e non c’è nulla che il governo iracheno possa fare – o che gli USA farebbero senza sostegno israeliano – per fermarli.
La lotta curda, comunque, è tutt’altro che strettamente nazionalista. Nelle montagne sopra Erbil, nell’antico cuore del Kurdistan che si estende oltre i confini di Turchia, Iran, Iraq e Siria, è nata una rivoluzione sociale.
La teoria del confederalismo democratico
Al volgere del secolo, mentre il radicale statunitense da una vita Murray Bookchin rinunciava al tentativo di rivitalizzare il movimento anarchico contemporaneo con la sua filosofia dell’ecologia sociale, il fondatore e leader del PKK Abdullah Ocalan era arrestato in Kenia da autorità turche e condannato a morte per tradimento. Negli anni che seguirono l’anziano anarchico si conquistò un improbabile devo nell’indurito militante, la cui organizzazione paramilitare – il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) – è diffusamente elencata tra le organizzazioni terroristiche per aver condotto una guerra violenta di liberazione nazionale contro la Turchia.
Nei suoi anni in cella d’isolamento, guidando il PKK da dietro le sbarre quando la sua sentenza era stato commutata in ergastolo, Ocalan ha adottato una forma di socialismo libertario così oscura che pochi anarchici ne hanno addirittura sentito parlare: il municipalismo libertario di Bookchin. Ocalan ha ulteriormente modificato, affinato e cambiato definizione alla visione di Bookchin in “confederalismo democratico” con la conseguenza che il Gruppo di Comunità del Kurdistan (Koma Civaken Kurdistan o KCK), l’esperimento territoriale di una società libera e direttamente democratica è stato largamente tenuto segreto alla vasta maggioranza degli anarchici, per non parlare del pubblico in generale.
Anche se il punto di svolta è stato la conversione di Ocalan, un rinascimento di letteratura di sinistra e indipendente era affluito attraverso le montagne ed era passata di mano in mano tra i membri della base dopo il crollo dell’Unione Sovietica negli anni ’90. “Analizzavano libri e articoli di filosofi, femministe, (neo)anarchici, comunisti libertari, comunalisti ed ecologi sociali. E’ così che autori come Murray Bookchin [e altri] sono finiti al centro della loro attenzione”, ci dice l’attivista curdo Ercan Ayboga.
Ocalan si è imbarcato, nei suoi scritti in carcere, in un riesame generale e in un’autocritica della terribile violenza, dogmatismo, culto della personalità e autoritarismo che aveva promosso: “E’ diventato chiaro che la nostra teoria, programma e prassi degli anni ’70 non hanno prodotto altro che futile separatismo e violenza e, ancor peggio, che il nazionalismo cui avremmo dovuto opporci, ci infestava tutti.” Un tempo leader indiscusso, Ocalan a quel punto ragionava:  “il dogmatismo si nutre di verità astratte che diventano modi abituali di pensare. Non appena si traspongono in parole quelle verità generali uno si sente come un alto sacerdote al servizio del proprio dio. E’ stato un errore che ho commesso.”
Ocalan, un ateo, alla fine scriveva come un libero pensatore, liberatosi dalla mitologia marxista-leninista. Ha indicato che stava cercando un’”alternativa al capitalismo” e un “sostituto del modello crollato del … ‘socialismo realmente esistente’” quando ha incontrato Bookchin. La sua teoria del confederalismo democratico si sviluppata da una combinazione di ispirazione da intellettuali comunalisti, “movimenti come gli zapatisti”, e da altri fattori storici della lotta nel Kurdistan settentrionale (Turchia). Ocalan si è dichiarato studente di Bookchin e dopo una fallita corrispondenza email con l’anziano teorico che, con suo rammarico era troppo malato per uno scambio dal suo letto d’agonia nel 2004, il PKK lo ha celebrato come “uno dei più grandi sociologi del ventesimo secolo” in occasione della morte di Bookchin due anni dopo.
La pratica del confederalismo democratico
Lo stesso PKK ha evidentemente seguito il suo leader, non solo adottando il genere specifico di eco-anarchismo di Bookchin, ma anche interiorizzando attivamente nuova filosofia nelle proprie strategie e tattiche. Il movimento ha abbandonato la guerra sanguinosa per una rivoluzione stalinista-maoista e le tattiche terroristiche che l’accompagnavano e ha cominciato a esaminare una strategia in larga misura nonviolenta mirata a una maggior autonomia regionale.
Dopo decenni di tradimenti fratricidi, cessate il fuoco falliti, arresti arbitrati e ostilità rinnovate, il 25 aprile di quest’anno il PKK ha annunciato un ritiro immediato delle proprie forze dalla Turchia e il loro dispiegamento nell’Iraq settentrionale, ponendo efficacemente fine al suo trentennale conflitto con lo stato turco. Il governo turco ha contemporaneamente intrapreso un processo di riforme costituzionali e legali per incorporarvi i diritti umani e culturali della minoranza curda entro i suoi confini. Ciò è arrivato come componente finale di negoziati da lungo attesi tra Ocalan e il primo ministro turco Erdogan, come parte di un processo di pace iniziato nel 2012. Per un anno non ci sono state violenze da parte del PKK e sono avanzate ragionevoli richieste che il PKK sia cancellato dalla lista dei terroristi mondiali.
Resta, comunque, una storia buia per il PKK, pratiche autoritarie che mal si confanno alla nuova retorica libertaria. A settori del partito sono stati in varie occasioni attribuite raccolte di fondi tramite traffico di eroina, estorsioni, arruolamento forzato e criminalità in genere. Se è vero, nulla può scusare tale genere di opportunismo violento, nonostante l’evidente ironia che lo stesso stato turco genocida è stato finanziato in non piccola parte da un monopolio lucroso di esportazioni legali di oppiacei  “medici” coltivati dallo stato verso l’occidente e reso possibile dalla coscrizione e tassazione per un massiccio bilancio dell’antiterrorismo e per le forze armate sovradimensionata (la Turchia ha il secondo più vasto esercito della NATO, dopo gli Stati Uniti).
Nella normale ipocrisia della guerra al terrorismo, quando movimenti di liberazione nazionale imitano la brutalità dello stato, sono invariabilmente i non rappresentati che sono marchiati da terroristi. Lo stesso Ocalan descrive quel vergognoso periodo come un periodo di “bande all’interno della nostra organizzazione e aperto banditismo [che]organizzarono operazioni inutili e pericolose, mandando alla morte giovani a frotte.”
Correnti anarchiche nella lotta
Come ulteriore segnale che sta abbandonando i suoi percorsi marxisti-leninisti, il PKK ha recentemente comincia a mostrare esplicite aperture all’internazionalismo anarchico, persino conducendo un seminario presso la Riunione Internazionale sull’Anarchismo a St. Imier, Svizzera, nel 2012 che ha causato confusione, sconcerto e dibattiti in rete, ma che è andato largamente ignorato dalla più ampia stampa anarchica.
Janet Biehl, la vedova di Bookchin, è uno dei pochi anarchici a studia il KCK sul campo e ha scritto estesamente delle proprie esperienze sul sito New Compass, anche condividendo interviste con radicali curdi coinvolti nelle attività quotidiani delle assemblee democratiche e delle strutture federali e anche traducendo e pubblicando il primo studio anarchico a livello di libro sul tema: Democratic Autonomy in North Kurdistan: The Council Movement, Gender Liberation, and Ecology (2013) [Autonomia democratica nel Kurdistan settentrionale: il movimento dei consigli, liberazione di genere ed ecologia].
L’unica altra voce anarchica a esprimersi in inglese è il Forum Anarchico del Kurdistan (KAF), un gruppo pacifista di curdi iracheni residenti in Europa che afferma di “non avere alcun rapporto con altri gruppi di sinistra”. Pur appoggiano un Kurdistan federato, il KAF dichiara che appoggerà “il PKK solo quando rinuncerà completamente alla lotta armata, si impegnerà nell’organizzare movimenti di base popolari di massa al fine di realizzare le richieste sociali del popolo, denuncerà a smantellerà il modi gerarchici e centralizzati di lotta e passerà invece a gruppi locali autonomi federati, porrà fine a tutte le relazioni e gli accordi con stati del Medio Oriente e dell’occidente, denuncerà la politica del potere carismatico e si convertirà all’anti-statismo e all’antiautoritarismo; solo allora saremo felice di collabora pienamente con esso.”
Bookchin seguito alla lettera
Quel giorno (pacifismo a parte) potrebbe non essere troppo lontano. Il PKK/KCK pare seguire alla letteral’ecologia sociale di Bookchin, in quasi tutto fino alla, e compresa, sua contraddittoria partecipazione all’apparato statale attraverso le elezioni, proprio come prescritto dalla letteratura.
Come scrivono Joost Jongerden e Ahmed Akkaya “il lavoro di Bookchin distingue tra due idee di politica: il modello ellenico e quello romano”, cioè democrazia diretta e democrazia rappresentativa. Bookchin considera la sua forma di neo-anarchismo come rinascita pratica dell’antica rivoluzione ateniese. Il ‘modello di Atene esiste come corrente contraria e sotterranea, trovando espressione nella Comune di Parigi del 1871, nei consigli (sovietici) della primavera della rivoluzione in Russia del 1917, e nella Rivoluzione Spagnola del 1936’”.
Il comunalismo di Bookchin include un approccio in tre fasi:
1. Dar potere alle municipalità esistenti attraverso la legge in un tentativo di rendere locali il potere decisionale.
2. Democratizzare tali municipalità attraverso assemblee della base.
3. Unire le municipalità “in reti regionali e confederazioni più vaste … lavorando sostituire gradualmente gli stati-nazione con confederazioni municipali”, assicurando contemporaneamente che i livelli “più alti” di confederazione abbiano funzioni principalmente di coordinamento e amministrative”.
4. “Unire movimenti sociali progressisti” per rafforzare la società civile e creare “un punto focale comune per tutte le iniziative e i movimenti dei cittadini”: le assemblee. Questa cooperazione non è [esaminata] “perché ci aspettiamo di vedere sempre un consenso armonioso ma – al contrario – perché crediamo nel dissenso e nella riflessione. La società si sviluppa attraverso dibattiti e conflitti”. Inoltre le assemblee devono essere laiche, “combattendo le influenze religiose sulla politica e sul governo” e un’”arena di lotta di classe”.
5. Al fine di realizzare la loro visione di una “società senza classi, basata sul controllo politico collettivo sui mezzi di produzione socialmente importanti”, sono necessarie la “municipalizzazione dell’economia” e una “allocazione confederale delle risorse per garantire equilibrio tra le regioni”. In parole povere ciò corrisponde a una combinazione di autogestione operaia e di pianificazione partecipativa per soddisfare i bisogni sociali: economia anarchica classica.
Nelle parole di Eirik Eiglad, già curatore di Bookchin e analista del KCK:
Di particolare importanza è la necessità di combinare le idee dei movimenti femministi ed ecologisti progressisti con i nuovi movimenti urbani e le iniziative dei cittadini nonché con i sindacati e le cooperative e i collettivi locali … Crediamo che le idee comunaliste di una democrazia a base assembleare contribuiranno a rendere possibile questo scambio progressista di idee su base più permanente e con conseguenze politiche più dirette. Tuttavia il comunalismo non è soltanto un modo tattico per unire questi movimenti radicali. Il nostro appello alla democrazia municipale è un tentativo di portare la ragione e l’etica al primo posto nel dibattito pubblico.
Per Ocalan il confederalismo democratico significa una “società democratica, ecologica, liberata quanto ai generi” o semplicemente “una democrazia senza lo stato”. Egli contrappone esplicitamente la “modernità capitalista” alla “modernità democratica”, in cui “i tre elementi fondamentali [della prima], capitalismo, stato-nazione e industrialismo” sono sostituiti da una “nazione democratica, economia comunalista e industria ecologica”. Ciò implica “tre progetti: uno per una repubblica democratica, uno per un confederalismo democratico e uno per l’autonomia democratica”.
Il concetto di “repubblica democratica” si riferisce essenzialmente a  ottenere per i curdi i diritti civili e di cittadinanza a lungo negati, tra cui la possibilità di parlare e insegnare liberamente la propria lingua. L’autonomia democratica e il confederalismo democratico si riferiscono entrambi alle “capacità autonome del popolo, una forma di struttura politica più diretta e meno rappresentativa”.
Contemporaneamente Jongerden e Akkaya fanno notare che “il modello del libero municipalismo mira a realizzare un organismo amministrativo partecipativo dal basso, da livelli locali e provinciali”. Il “concetto di libero cittadino (ozgur yarttas) [ne]è il punto di partenza” che “include libertà civili fondamentali, come la libertà di parola e di organizzazione”. L’unità centrale del modello è l’assemblea di quartiere o i “consigli”, con i due termini che sono usati come interscambiabili.
Nei consigli c’è partecipazione popolare, anche di non curdi, e mentre le assemblee di quartiere sono forti in varie province, “a Diyarbakir, la più grande città del Kurdistan turco, ci sono assemblee quasi dovunque”. Altrove, “nelle province di Hakkari e Sirnak  … ci sono due autorità parallele [il KCK e lo stato], delle quali, nella pratica, la più forte è la struttura democratica confederale”. Il KCK in Turchia “è organizzato a livello di villaggio (koy), di quartiere urbano (mahalle), di distretto (ilçe), di città (kent) e di regione (bolge), chiamata “Kurdistan settentrionale”.
Il livello “più alto” di federazione nel Kurdistan settentrionale. Il DTK (Congresso della Società Democratica) è un insieme di delegati dalla base dei propri pari con mandati suscettibili di revoca, con ne costituisce il 60 per cento, e di rappresentanti di “più di cinquecento organizzazioni delle società civile, sindacati e partiti politici” che costituiscono sino al 40 per cento, di cui circa il 6 per cento è “riservato a rappresentanti di minoranze religiose, studiosi o altri con particolari competenze”.
La composizione percentuale del 40 per cento di quelli che sono similmente delegati da gruppi direttamente democratici, non statali della società civile paragonata a quelli che sono burocrati non eletti o eletti da partiti non è chiara. La sovrapposizione di individui tra movimenti curdi indipendenti e partiti politici curdi, così come l’interiorizzazione di numerosi aspetti della procedura della democrazia diretta da parte di questi partiti, complica ulteriormente la situazione. L’opinione comune informale dei testimoni, tuttavia, è che la maggior parte del processo decisionale è direttamente democratica attraverso una soluzione o l’altra; che la maggior parte di queste decisioni sono prese a livello di base; e che le decisioni sono attuate dal basso in accordo con la struttura federale.
Poiché le assemblee e il DTK sono coordinati dall’illegale KCK, di cui fa parte il PKK, sono considerati terroristi dalla Turchia e, per associazione,  dalla cosiddetta comunità internazionale (UE, Stati Uniti e altri). Il DTK sceglie anche i candidati del BDP filo-curdo (Partito della Pace e Democrazia)  al parlamento turco, che a sua volta propone “autonomia democratica” per la Turchia in un qualche genere di combinazione di democrazia rappresentativa e diretta. In linea con il modello federale, propone la creazione di circa 20 regioni autonome che amministrerebbero direttamente (secondo il modello anarchico, non quello svizzero) “istruzione, sanità, cultura, agricoltura, industria, servizi e sicurezza sociale, problemi femminili, giovani e sport”, con lo stato che continua a occuparsi di “affari esteri, finanza e difesa”.
La rivoluzione sociale decolla
Sul campo, nel frattempo, la rivoluzione è già iniziata.
Nel Kurdistan turco c’è un movimento indipendente d’istruzione di “accademie” che tiene forum di discussione e seminari nei quartieri. C’è la Via della Cultura dove Abdullah Demirbas, sindaco della municipalità Sur di Amed celebra “la diversità delle religioni e dei sistemi di credenze”, dichiarando che “abbiamo cominciato a restaurare una moschea, un chiesa cattolica caldea-aramaica, una chiesa ortodossa armena e una sinagoga ebraica”. Altrove, riferiscono Jongerden e Akkaya, “le municipalità DTP hanno avviato un ‘servizio municipale multilingue’ che ha suscitato un acceso dibattito. I cartelli municipali sono eretti in curdo e turco e i negozianti locali hanno seguito l’esempio”.
La liberazione delle donne è perseguita dalle donne stesse attraverso l’iniziativa del Consiglio delle Donne del DTK, facendo valere nuove regole come la “quota di genere del quaranta per cento” nelle assemblee. Se un dipendente pubblico malmena la propria moglie il suo salario è trasferito direttamente alla sopravvissuta per la sua sicurezza finanziaria e perché lo utilizzi come crede. “A Gewer, se un marito prende una seconda moglie, metà del suo patrimonio passa alla prima”.
Ci sono ‘Villaggi della pace’, comunità nuove o trasformate di cooperative, che attuano il proprio programma del tutto indipendentemente dai limiti logistici della guerra curdo-turca.  La prima di tali comunità è stata creata nella provincia di Hakkari, al confine con Iraq e Iran, dove “numerosi villaggi” hanno aderito all’esperimento. Nella provincia di Van è in costruzione un “villaggio ecologico femminile” per ospitare le vittime di violenze domestiche, autonomo “per tutta o quasi tutta l’energia necessaria”.
Il KCK tiene assemblee biennali nelle montagne con centinaia di delegati da tutti i quattro paesi, con la minaccia dello Stato Islamico al Kurdistan autonomo meridionale e occidentali ai primi posti nell’agenda. I partiti iraniani e siriani affiliati al KCK, il PJAK (Partito della Vita Libera in Kurdistan) e il PYD (Partito dell’Unione Democratica) promuovono anch’essi il confederalismo democratico. Il partito KCK iracheno , il PCDK (Partito per una Soluzione Democratica in Kurdistan), è relativamente irrilevanti, con il Partito del Kurdistan Democratico, centrista, e il suo leader Massoud Barzani, presidente del Kurdistan iracheno, che solo recentemente lo sta decriminalizzando e cominciando a tollerarlo.
Nelle aree montane più a nord del Kurdistan iracheno, dove vive la maggioranza dei guerriglieri del PKK e del PJAK, tuttavia, fioriscono la letteratura e le assemblee radicali, con l’integrazione tra i molti curdi delle montagne che prosegue dopo decenni di esilio. In settimane recenti, questi militanti sono scesi dalle montagne più a nord per combattere al fianco dei peshmerga iracheni contro l’ISIS, salvando 20.000 yazidi e cristiani dei Monti Sinjar e visitati da Barzani in una pubblica dimostrazione di gratitudine e solidarietà, con grande imbarazzo di Turchia e Stati Uniti.
Il PYD siriano ha seguito la guida del Kurdistan Turco nella trasformazione rivoluzionaria della regione autonoma sotto il suo controllo dallo scoppio della guerra civile. Dopo “ondate di arresti” sotto la repressione baatista, con “10.000 persone incarcerate, tra cui sindaci, leader locali di partito, deputati, quadri e attivisti … le forze del PYD curdo hanno cacciato il regime Baath nella Siria settentrionale, o Kurdistan occidentale, [e] sono spuntati dovunque consigli locali”. Sono stati improvvisati comitati di autodifesa per offrire “sicurezza dopo il crollo del regime baath”, ed è stata fondata “la prima scuola che insegna in curdo” mentre i consigli sono intervenuti nell’equa distribuzione di pane e benzina.
Nel Kurdistan turco, siriano e, in misura minore, iracheno le donne sono oggi libere di togliersi il velo e fortemente incoraggiate a partecipare alla vita sociale. I vecchi vincoli feudali sono spezzati, le persone sono libere di seguire qualsiasi religione o nessuna, e le minoranze etniche e religiose convivono pacificamente. Se saranno in grado di confinare il nuovo califfato, l’autonomia del PYD nel Kurdistan Siriano e l’influenza del KCK nel Kurdistan iracheno potrebbero far fermentare un’esplosione ancor più profonda di cultura e valori rivoluzionari.
Il 30 giugno 2012 anche il Comitato Nazionale di Coordinamento per il Cambiamento Democratico (NCB), la più vasta coalizione rivoluzionaria di sinistra in Siria di cui il PYD è il gruppo principale, ha abbracciato “il progetto di autonomia democratica e confederalismo democratico come possibile modello per la Siria”.
Difesa della rivoluzione curda dall’IS
La Turchia, nel frattempo, ha minacciato di invadere territori curdi se “saranno create basi terroristiche in Siria” mentre centinaia di combattenti del KCK (PKK compreso) da tutto il Kurdistan attraversano il confine per difendere Rojava (l’occidente) dall’avanzata dello Stato Islamico. Il PYD denuncia che il governo islamista moderato della Turchia è già impegnato in una guerra per procura contro di esso agevolando i trasferimenti di jihadisti internazionali attraverso il confine per combattere a fianco degli islamisti.
Nel Kurdistan iracheno Barzani, i cui guerriglieri combatterono al fianco della Turchia contro il PKK negli anni ’90 in cambio di accesso ai mercati occidentali, ha sollecitato un fronte curdo unificato in Siria, mediante un’alleanze con il PYD. Barzani ha infranto l’accordo di Erbil nel 2012 creando il Consiglio Nazionale Curdo, con il leader del PYD Salih Muslim che conferma che “tutte le parti sono serie e determinate a continuare a collaborare”.
Tuttavia, anche se lo studio e la pratica delle idee socialiste libertarie presso la dirigenza e la base del KCK sono indubbiamente uno sviluppo positivo, resta da vedere quanto seri siano nel rinunciare al loro passato autoritario sanguinario. La lotta curda per l’autodeterminazione e la sovranità culturale e un raggio di luce tra le nuvole scure che si accumulano sullo Stato Islamico e sulle guerre inter-fasciste sanguinose tra l’islamismo, il baatismo e il settarismo religioso che gli hanno dato origine.
Una rivoluzione pan-curda socialmente progressista e laica con elementi socialisti libertari che unisca i curdi siriani e iracheni e rinvigorisca le lotte turche e iraniane può ancora essere una prospettiva. Nel frattempo quelli di noi che danno valore all’idea di civiltà debbono gratitudine ai curdi, che stanno combattendo i jihadisti del fascismo islamista giorno e notte al fronte in Siria e in Iraq, difendendo con le loro vite valori democratici radicali.
“I curdi non hanno altri amici che le montagne”.
- Proverbio curdo

Nessun commento:

Posta un commento