Quando io sono nato, non ero ancora cittadino italiano. Ero più concretamente un terrone nato da genitori ciociari in territorio genovese, ma fu ugualmente registrato il mio nome nell'anagrafe di quel Comune, e nel registro generale, non in uno a parte per gli "stranieri".
Merito dei Savoia, di Cavour, di Garibaldi, della Resistenza, non saprei. Fatto sta che, sebbene mi fosse stata riconosciuta la cittadinanza italiana e sui miei documenti comparisse Genova come luogo di nascita, cosa che mi accompagna ancora, non ero un vero e proprio cittadino (lo ero solo formalmente e nei diritti, non ancora nei doveri).
Ero solo un abitante, ma non sapevo nulla della storia, della lingua, delle tradizioni, delle religioni e delle leggi italiane, per cui credo che qualcuno di quei sottili pensatori che si inalberano garbatamente e in modo spesso assai discutibile per chi vanterebbe una presunta superiorità, avrebbe certamente trovato da ridire sulla mia qualifica di italiano e di genovese prima che io avessi imparato la lingua, la Costituzione (che poi essi calpestano, ma questo è solo un inciso), le usanze, la religione e le leggi.
Poi l'ho fatto, con mediocri risultati ma l'ho fatto, anche se nessuno mi ha chiesto se sapevo chi fosse il Presidente della Repubblica quando ho votato per la prima volta, e nessuno mi ha chiesto di accennare l'Inno nazionale prima di darmi la patente per la macchina.
E quindi, fortunatamente, non ho dovuto aspettare la maggiore età, né dimostrare che proprio non avevo nulla a che fare con i terroristi di nessun paese straniero (fossi stato dei NAR o un brigatista, anche negli anni '70 la cittadinanza ce l'avevo e nessuno me l'avrebbe tolta).
Ma i miei genitori erano italiani, almeno a giudicare dalle carte. Carte che non avevano confezionato loro, ma che lo Stato gli aveva fornito, senza chieder loro se sapessero dov'è Verona o quali sono i fiumi della Sicilia. Lo erano perché, prima che nascessero, qualcuno aveva spostato i confini, per ragioni che i miei genitori sono morti senza sapere. E venivano tollerati solo perché al Nord serviva gente che lavorava senza far tanti capricci, abituata alla fame e non al sindacato, ma avevano gli occhi addosso: se sbagli ci ricordiamo che sei terrone, con quel che ne consegue.
C'erano un po' qui, un po' là, soprattutto in centro, i cartelli "Non si affitta a meridionali", nei quartieri operai molto meno, altrimenti gli affari con chi li facevi? Ma tutto sommato, era meglio della fame, si lavorava e si progrediva economicamente, col sogno di tornare e comprarsi un pezzetto di terra al paese, dove c'erano quelli che parlavano come te.
Certo, sono cose vecchie, mezzo secolo e più è passato. O no?
E' vero, i confini ci sono e dicono che uno della Libia o della Somalia non possono certo aspirare a diventare italiani, ma solo perché la Storia non gli è stata amica quanto lo fu con i miei genitori (e con me). Se essa avesse dato retta al Governo italiano degli anni 1911 e poi dal '34 al '43 (Libia) o dal 1889 al 1941 (Somalia), essi sarebbero italiani a tutti gli effetti, ma non andò così.
Insomma, se la qualifica di italiano ha un senso per veneti e calabresi, valdostani e campani, ciociari e salentini, questo è solo per un casuale incrociarsi di interessi di classi dominanti che nemmeno esistono più.
Perché, ci chiediamo quindi, una persona che nasce in Italia debba essere considerata libica, o somala o chissà cosa? Se nasce in Italia, apprende la nostra cultura (che non si trasmette per via genetica) e rispetta le nostre leggi, e magari da adulto contribuisce anche a farne di migliori, perché rinunciare al suo contributo?
Fa sorridere amaramente che chi si oppone a politiche di semplice realismo, si appelli spesso addirittura alla storia di Roma, dimostrandone una conoscenza a dir poco approssimativa, più vicina al concetto di appartenenza vigente nelle curve degli stadi che a qualsiasi professione politica seria. Come fa cadere le braccia il semplicismo con cui si spacciano "verità alternative" ed associazioni di idee assolutamente gratuite, come immigrato=islamico (la stragrande maggioranza dei profughi e immigrati è cristiana), Musulmano=terrorista (i musulmani sono un miliardo e mezzo, se fossero tutti terroristi saremmo scomparsi da un pezzo), e così favoleggiando.
Ieri a Mogadiscio l'ISIS ha fatto 31 morti.; la notizia è stata data fra le minori, senza spazi e reportage. Ma Mogadiscio non è in Italia, la Storia ha deciso diversamente, e quindi non ci tocca.
Questo progressivo sfascio sociale, politico e culturale, però, non può essere solo denunciato. Serve, e prima che sia troppo tardi, affrontare i nodi accantonati dell'organizzazione politica generale (Europa, Onu, trattati sovranazionali) per dare, ma sul serio e prima possibile, risposte concrete alle nuove facce che la miseria e la sofferenza assumono.
Senza politica, lo spazio per gli sciovinismi cresce, si allarga il consenso a forme nuove e vecchie di razzismo, e si rischia di esserne sopraffatti.
L'allarme che lanciamo e forte, ma pare che orecchie disponibili ce ne siano poche, per quanto nobili, e purtroppo quasi sempre attaccate a teste che non possono decidere.
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