Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

mercoledì 9 febbraio 2011

Maggiorenni

di Giovanni Morsillo


Ha suscitato un po’ di polvere l’intervento di un ragazzo che chiedeva in una manifestazione nazionale alcune risposte sulle sue condizioni di vita e sulle prospettive che la classe dirigente, e ovviamente chi occupa le sedi decisionali in primis, pensa di realizzare per lui ed i suoi concittadini, coentanei o no.
Ovviamente, il fatto che un cittadino inizi presto a preoccuparsi di cosa lo aspetta nella vita, in un paese cloroformizzato dalle banalità assurte al ruolo di ideologia (la pubblicità, il mercato, le ballerine, il machismo, la sottocultura, ecc. ecc. ecc.), risulta assai strano.
E quindi, dagli alle dichiarazioni scandalizzate, alle scemenze vomitate con veemenza da personaggi quanto meno discutibili (proprio se non avessimo altro da discutere, però). E il giovane con elevata sensibilità sociale, diventa un soldato bambino, un abbrutito in mano a spietati fabbricanti di mostri, una specie di pioniere del socialismo come non se ne vedeva dalla fine dell’URSS (che nella loro accezione è quanto di peggio possa capitare ad un adolescente).
Non certo per informare costoro, fatica inutile e foriera di depressione in chi la volesse tentare, ma per rimuovere ogni granello di quella polvere dalle coscienze sane che, fin troppo preoccupate dell’incolumità dei minori, si chiedono se sia giusto e opportuno che un ragazzino “faccia politica”.
Senza scadere nella dozzinale contarpposizione fra generazioni, e senza voler stabilire a tavolino se quella precedente sia migliore o peggiore della successiva, vorremmo invece far notare che il guaio sta proprio nella scelta opposta. Per decenni abbiamo lamentato che non si facesse abbastanza per educare civicamente (a scuola, in famiglia e nella società) le giovani menti e le giovani coscienze, offrendo loro spunti di riflessione e riferimenti che non fossero lo spontaneismo sciovinista, l’arrivismo egoista, i complessi di inferiorità fondati sulle leggi della giungla.
Nell’era in cui si discute di dare la patente a sedici anni, il voto amministrativo alla stessa età, di allargare giustamente i diritti individuali dei ragazzi e delle ragazze, sembra che la coscienza civile, l’impegno sociale, la responsabilità individuale che dovrebbe determinare tali diritti debba invece essere compressa, confinata, legata.
Con l’aggravante che tutto ciò non è detto in nome di una valutazione delle capacità del giovane, ma suffragatao solo da preconcetti e pregiudizi apertamente dichiarati: Sarebbe indecente che i genitori di quel ragazzo gli abbiano concesso di capire, di approfondire, e di esporsi davanti a tutto il paese per esprimere il proprio pensiero, le proprie preoccupazioni, la propria volontà.
Molto meglio, forse, covare in silenzio queste tensioni, farle diventare frustrazioni, e buttarsi da un balcone, come purtroppo molti adolescenti fanno, mancando loro la possibilità di affrontare a viso aperto le difficoltà che la vita, oggettivamente mette davanti a tutti.
O ancora, essere allevati a merendine e incoscienza, al buio come polli da batteria, con il risultato orribile che quelle carni e quelle teste saranno insipide, senza personalità, sapranno solo di mangime.
Se Giovanni e tutti quelli come lui potessero sentirci, vorremmo dir loro che noi abbiamo preso la tessera del partito a quattordici anni, che avevamo le federazioni giovanili a nostra disposizione proprio per crescere nella consapevolezza e nella partecipazione. E vorremmo che sapessero che abbiamo sentito e sentiamo ora il lutto sulla nostra pelle, perché quelle organizzazioni sono state disciolte, smembrate, distrutte proprio per evitare che la società si organizzasse, fosse consapevole. Non sembri una forzatura: le cosiddette riforme del sistema elettorale, dell’organizzazione del consenso, non sono altro che la ricerca di una struttura del potere senza partecipazione, di una democrazia fasulla fondata sulla delega formale e non sulla responsabilità. Secondo quelli che gridano allo scandalo dovremmo abbeverarci tutti al luogo comune, al Verbo del potere, e accucciarci nella nostra disperata dipendenza.
Se Giovanni ci sentisse, lo pregheremmo di dire ai suoi amici di andare anche loro alle manifestazioni, a quelle che vogliono, in modo civile e serio, come ha fatto lui, di scegliere e non farsi scegliere, di cerscere uomini e donne, non oggetti per l’arricchimento e il divertimento di quattro satrapi.
Va bene così, Giovanni, ne abbiamo bisogno anche noi, che abbiamo rischiato grosso di rassegnarci guardando quelli che crescono nel disorientamento e nella sfiducia. Ci hai rappresentati più tu con la tua faccina pulita e nobilmente popolare, che tutti i discorsi pur importanti dei capi. Grazie a te e ai tuoi amici, noi riprendiamo a sperare. 

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