Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

venerdì 22 aprile 2011

150 ANNI DELL’UNITA’ D’ITALIA: ALCUNE RIFLESSIONE

Franco Gentile: ANPI SEZIONE SCANDICCI

L’unificazione  dell’Italia, proclamata il 17 marzo del 1961, si deve allo sforzo di una  parte –per lo più giovani- del ceto medio urbano guidato da uomini come Garibaldi, Mazzini e Cavour. Un fragile senso di comune appartenenza caratterizzava invece il resto della popolazione in gran parte contadini analfabeti. Per il sud,inoltre, l’unificazione fu un evento luttuoso dovuto alla  fiscalità ed alla leva militare. Lo sviluppo del “brigantaggio” –tesi ufficiale  per giustificare comportamenti di rivolta-  era un segno della scarso entusiasmo per l’unificazione.
L’altro grande ostacolo fu la “questione romana” che incideva sulla coscienza religiosa popolare creando una dolorosa frattura  con lo stato unitario.
La prima guerra mondiale aveva solo in parte colmato queste lacune.
Il Fascismo aveva innegabilmente contribuito alla nazionalizzazione delle masse italiane. Questo processo di nazionalizzazione però si era sviluppato in contrapposizione al Risorgimento. Il Risorgimento infatti si basava su un binomio di principi base: nazione e libertà. Il Fascismo negò uno di questi principi base: la libertà. Ne conseguì una divisione nel paese. Non a caso, nel corso della guerra di Spagna,1936-39, ambedue le parti contrapposte avevano  italiani nelle proprie file
L’8 settembre 1943, a seguito della fuga da Roma del capo dello stato e del governo ed il conseguente disfacimento dell’esercito, nel giro di due giorni, si ha la caduta del sentimento di nazione, già debole ed incerto. Si ebbe la morte della patria come fu  scritto. Dal profondo del popolo, privo di nuovi capi politici, si sviluppò una tenace volontà di sopravvivenza. Con scelte drammatiche ciascuno decise da solo il proprio destino. Nell’intreccio tra ciò che muore e ciò che nasce va cercata la chiave di lettura dei 20 mesi della Resistenza armata, sostenuta dalla popolazione, che portò al 25 aprile 1945. Alla Resistenza si deve in gran parte la Costituzione del 1948 che è  uno dei frutti più preziosi dell’Italia unita.
Nei 43 anni che separano il 1948 dal 1991, l’Italia è cambiata profondamente. Da paese semiagricolo è diventato industriale e quindi post-industriale, nel quadro di una economia globalizzata; da semi-povero è diventato uno dei paesi più ricchi del pianeta;da paese d’emigrazione è diventato meta d’immigrazione. Nel contempo,dal 1972, si è progressivamente imposto il  problema dell’equilibrio ambientale. I cambiamenti del clima richiedono ormai cambiamenti dei comportamenti dell’uomo. Come è autorevolmente affermato è cambiata un’epoca storica. Per la globalizzazione ormai gli spazi dei capitali e merci, della cultura, dell’informazione coincidono con quelli del pianeta. Il moltiplicarsi delle informazioni  richiede una adeguata capacità di sintesi critica. Infatti una delle peggiori insidie per la società, per la nostra vita pubblica, è lo scarto tra la dinamica della realtà, nella società nazionale ed internazionale, e l’orizzonte culturale in cui si svolge il processo formativo dei cittadini. In questo contesto, incredibilmente, i processi formativi degli italiani sono restati,nella sostanza, quelli avviati negli anni venti del ‘900.
Nel 1950 gli italiani analfabeti erano il 50%. Una ricerca internazionale, condotta nel 2000 e nel 2005,  ha evidenziato che gli italiani sono per  il 5% analfabeti ed il 33%  analfabeti di ritorno; il 33% legge con difficoltà di comprensione,il 29% è sopra il livello minimo di alfabetizzazione  . Malgrado le trasformazioni “epocali” che hanno interessato l’Italia, l’Europa,il pianeta,  i risultati della formazione scolastica nel nostro paese non appaiono,oggi, significativamente diversi da quelli del 1950. Questo sistema di formazione inadeguato determina nei cittadini, tra l’altro, il piatto adattamento alla realtà da cui  il qualunquismo, l’individualismo, non di rado il razzismo, la caduta dell’etica della responsabilità, etc. Essere cittadino in una realtà complessa ed a più dimensioni:locale, nazionale,mondiale,necessita dei fondamenti e strumenti culturali diversi da quelli definiti per un’altra realtà . Il singolo cittadino vive, da decenni, in una realtà nella quale esistono la televisione, molti tipi di media personali -che tendono a sostituire i libri- e non ultima la rete. Una realtà, di fatto,  ignorata dal sistema formativo rivolto alla generalità dei  giovani cittadini

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