Storia della Palestina
Proprietà della terra in Palestina
Ci sembra
opportuno iniziare dando, sia pur molto brevemente, un’idea della struttura
della proprietà rurale in Palestina e del ruolo della terra in questa società.
Quella palestinese era all’inizio del ‘900 una società rurale, in cui i fellahin
costituivano delle comunità caratterizzate dalla proprietà comune della terra e
dal possesso dei mezzi di produzione (animali). La comunità che possedeva la
terra era o quella dei residenti di un villaggio o quella della famiglia
estesa. Nella stagione dell’aratura e della semina, la terra era divisa sulla
base della capacita di coltivarla. Un feddan ad ogni
uomo con un animale; mezzo feddan addizionale per ogni animale da
lavoro in più. Un uomo senza animali aveva diritto a mezzo feddan. Nelle
zone collinose o montagnose c’erano anche forme di proprietà individuale o
familiare di orti e di terre con alberi. La proprietà era basata sulla capacita
di piantare e mantenere gli alberi o sull’eredita. I confini, segnati con
cactus o con muretti a secco, erano rispettati da tutti; lo stesso valeva per i
confini dei pascoli delle tribù seminomadi. Il tentativo fatto a partire dal
1858 da parte dell’amministrazione ottomana di istituire un registro delle
proprietà rurali non ebbe un grande successo, anche perche il registro era
inteso anche come strumento di controllo della popolazione ai fini fiscali ed a
quelli della leva militare. Un effetto collaterale dell’introduzione dei
registri fu che alcune famiglie ed individui, approfittando della propria
posizione nell’amministrazione o della propria influenza e della relativa
arbitrarietà delle procedure di registrazione, riuscirono a fare registrare a
proprio nome rilevanti appezzamenti di terra non loro. Ciò contribuì allo
sviluppo di una classe di notabili urbani che, avendo nella terra la base del
loro potere, riuscivano ad assicurarsi posizioni di rilievo
nell’amministrazione ottomana. Comunque la proprieta collettiva continuo ad
essere maggioritaria in Palestina fino alla creazione dello stato di Israele
nel 1948. Questo fatto, come vedremo, renderà più facile l’espropriazione della
terra da parte del governo israeliano.
La colonizzazione ebraica prima della nascita
dello Stato di Israele
L’acquisizione della terra in Palestina da parte
del movimento sionista inizia in modo sistematico all’inizio del ‘900.
Strumento fondamentale fù l’istituzione del Fondo Nazionale Ebraico (Keren
Kaymeth LeIsrael ), avvenuta nel 1901 proprio con l’obiettivo di
raccogliere fondi fra la diaspora ebraica per l’acquisto e la ‘redenzione’ di
terra in ‘Eretz Israel’. Nel 1947 le proprietà ebraiche coprivano il 6,6% della
Palestina (1.734.000 dunum , ovvero 1.734 Kmq), di cui oltre la meta (933.000
dunum) era posseduta dal Fondo Nazionale Ebraico. Accanto
al processo di acquisizione di terre da parte di singoli ebrei o di istituzioni
sioniste, durante il mandato britannico si sviluppò un vero e proprio processo
di confisca di terre gestito direttamente dalla potenza mandataria. La “Woods
and Forest Ordinance” del 1920 permise la confisca di terreni utilizzati
principalmente per il pascolo da parte delle tribù beduine e delle popolazioni
rurali. Queste terre venivano classificate foreste statali e diventavano di proprietà
dello stato. Fra il 1927 ed il 1947
furono confiscati in questo modo 1.840.586 dunum di terra
palestinese. Quando poi, il 15 maggio 1948, fu proclamato lo stato di Israele,
le foreste statali furono considerate terra dello stato di Israele, cosı come
le terre che non erano registrate come proprietà individuali (e quindi le terre
possedute in modo collettivo dalle comunità rurali), per un totale di 15.025.000 dunum.
Dalla nascita di Israele alla guerra del 1967
La politica di occupazione della terra (e delle
abitazioni) ebbe una fortissima accelerazione durante la guerra, con
l’espulsione sistematica dei palestinesi da larghe porzioni del territorio, e
dopo, con l’imposizione alle popolazioni palestinesi della legge marziale, col
mantenimento delle leggi d’emergenza emanate dall’amministrazione britannica ai
tempi del mandato, ed infine con la Legge sulla Proprietà degli Assenti del
1950. Durante la guerra circa 400 villaggi arabi furono svuotati della loro
popolazione e distrutti. Sulle terre di diversi di questi villaggi sorsero
centri abitati o fattorie ebraiche. In molti casi gli arabi furono scacciati
con la forza dalle truppe sioniste, a volte anche a seguito di veri e propri
massacri, in altri casi fu la paura, alimentata da notizie di violenze subite
dagli abitanti di villaggi vicini, a spingere gli arabi alla fuga. Alla fine
della guerra circa 700.000 arabi palestinesi avevano abbandonato le terre dello
stato di Israele. Nasceva il problema dei rifugiati, ancora oggi uno dei
principali ostacoli alla soluzione del conflitto israelo-palestinese. Anche in
questa occasione ritroviamo presente il Fondo nazionale Ebraico
attraverso il suo direttore del dipartimento della terra, Josef Weitz. I primi
scontri fra truppe sioniste e milizie arabe scoppiano poco dopo il piano di
partizione dell’Onu del 29 novembre 1947, e Weitz “fu il
primo a apprezzare - agendo di conseguenza - il potenziale per
l’acquisizione di terre inerente allo stato di anarchia creato
in Palestina allorchè le milizie rivali si scambiavano colpi
sotto gli occhi dei reggimenti britannici occupati a organizzare la propria ritirata.” Che ci
sia stato, come sostengono gli storici palestinesi, un piano preordinato per
l’espulsione degli arabi da parte delle forze sioniste `è materia di discussione.
Certamente è priva di fondamento e
unicamente propagandistica la tesi sostenuta per molti anni da parte sionista,
che i palestinesi abbiano abbandonato volontariamente le proprie case su
indicazione dei dirigenti arabi. L’accurata ricostruzione degli eventi fatta da
Benny Morris non lascia dubbi. Le comuni caratteristiche delle modalità di espulsione
dei palestinesi nelle diverse parti del paese fanno pensare, se non ad un piano
centralmente concepito ed attuato, certamente ad una comune aspirazione che
trovava poi nei responsabili locali lo strumento attuativo, con il tacito
appoggio ed incoraggiamento dei comandi centrali e di Ben Gurion in
particolare. Questa impressione viene confermata dalla sistematica politica di
distruzione dei villaggi arabi abbandonati in modo da impedire la possibilità
di un ritorno delle popolazioni arabe. “`E difficile non avere
l’impressione che ci sia una mano che guida” afferma a
questo proposito una circolare di una organizzazione vicina al Mapam, l’unica
forza politica sionista da cui si levarono voci critiche alla politica di
espulsione. Sempre Benny Morris riporta l’impaziente risposta di
Ben-Gurion durante una discussione a livello di Gabinetto su piani riguardanti
le zone densamente popolate da arabi: “Gli arabi della Terra di Israele
hanno solo un ruolo, quello di fuggire via.” La conclusione di Morris è che il problema dei rifugiati palestinesi è un prodotto della guerra e non di una azione
premeditata. Conclusione contestata da Norman G. Finkelstein che sostiene come
proprio l’insieme della documentazione raccolta da Morris porti piuttosto alla
conclusione che “gli arabi palestinesi furono
espulsi in modo sistematico e con premeditazione”. Con l’obiettivo di
realizzare uno stato completamente ebraico, l’idea di dovere convivere con una
forte minoranza araba, che per le diverse dinamiche demografiche, avrebbe
potuto nel tempo superare numericamente la popolazione ebraica, divenendo
maggioranza, era una delle maggiori preoccupazioni dei dirigenti sionisti. Per
cui, anche se non premeditato, l’esodo palestinese fu certamente desiderato e
attivamente favorito, e furono realizzate le condizioni perche diventasse
definitivo. Come ha scritto Morris: “[. . . ] risulta che la
maggior parte di loro [i palestinesi] fuggirono dai loro villaggi e
dalle loro città in seguito ad attacchi ebraici, o per il timore di simili
attacchi. `E vero che molti fuggirono senza essere espulsi,
ma il vero dramma è derivato dalla Più drastica decisione degli israeliani, quella di
vietare ai palestinesi fuggiti di rientrare nel paese.” La
fondamentale responsabilità israeliana nell’esodo palestinese non deve fare
trascurare la responsabilità della classe dirigente araba che, preoccupata
soprattutto di mettere in salvo le proprie famiglie ed i propri beni, fu la
prima a fuggire lasciando la popolazione allo sbando senza guida né politica né militare. Il 21 ottobre 1948, con
l’imposizione della legge marziale, i palestinesi rimasti all’interno di
Israele, circa 150.000, furono sottoposti ad una amministrazione militare, con
l’obiettivo principale di limitare e controllare i loro movimenti. Nei primi
anni di amministrazione militare, la Galilea fu suddivisa in oltre 50
distretti, e ai palestinesi non era consentito di lasciare i luoghi di residenza
senza il permesso del governatore militare. I permessi di viaggio specificavano
non solo la data di partenza e di ritorno e la destinazione, ma anche il
percorso del viaggio. Questo sistema si dimostro un potente strumento di
controllo, limitando le interazioni fra loro dei palestinesi e frammentando
letteralmente le loro comunità. Molte zone erano completamente vietate,
specialmente quelle in cui la popolazione ebraica aveva sostituito quella
palestinese di prima del 1948. Queste restrizioni insieme alla Legge sulla
Proprietà degli Assenti che consentiva la confisca delle terre ‘abbandonate’,
permisero di dare una sanzione legale all’espropriazione delle terre arabe. Non
solo furono confiscate le terre di coloro che erano stati espulsi da Israele,
ma anche molti di coloro che erano rimasti all’interno del paese persero le
loro proprietà. Una parte consistente dei palestinesi di Israele erano profughi
interni, espulsi dalle loro case, ma alloggiati o accampati nelle zone vicine.
Essi furono considerati come legalmente “assenti”. Oltre a questa, un insieme
di altre leggi contribuì alla legalizzazione della confisca di terre
palestinesi. Ad esempio la legge 125 che consentiva ai comandanti militari di
dichiarare delle aree come aree militari chiuse, e la 5709 che consentiva di
fare evacuare per ragioni di sicurezza aree collocate lungo i confini, a nord
ed a sud. Fra la fine della guerra ed il 1965 l’applicazione di queste leggi
permise allo stato di confiscare 12.500.000 dunum di terra
araba, più del 60% appartenente a
palestinesi che non avevano mai lasciato Israele. Le terre, come le migliaia di
abitazioni confiscate, furono messe a disposizione dell’immigrazione ebraica.
Ancora oggi molti palestinesi di israele vivono come profughi all’interno del
loro stesso paese. Sono circa 40 i villaggi ed i piccoli centri arabi che ufficialmente’
non esistono: non appaiono nelle carte di Israele e non hanno diritto a servizi
di nessun tipo. Ma anche quando gli arabi riuscivano a mantenere la proprietà
delle terre, era difficile continuare a coltivarle. Lo stato, infatti, limitava
rigorosamente le loro quote di risorse idriche ed elettriche, specie in
confronto alle vicine cooperative o comunità agricole ebraiche (i kibbuzim
ed i moshavin). Nel 1966 terminò l’amministrazione militare
degli arabi di Israele. Dal punto di vista formale gli arabi furono a quel
punto cittadini come gli altri, godendo di tutti i diritti. In pratica rimasero
cittadini di seconda categoria, mentre continuava, in forme diverse, il processo
di espropriazione della loro terra. Simbolico della resistenza araba alle
espropriazioni il famoso giorno della terra del 1976.
Le autorità israeliane avevano comunicato l’intenzione di espropriare un
milione e mezzo di dunum di terra araba in Galilea e nel
Negev. Fu subito evidente che l’obiettivo principale era di modificare gli
equilibri demografici in Galilea, dove la popolazione era per oltre il 70%
araba. Il 30 marzo fu indetto uno sciopero generale cui partecipo tutta la
popolazione araba di Israele, ed a cui si unirono anche i palestinesi dei
territori occupati. Ragazzi arabi bloccarono le strade e lanciarono pietre
contro i soldati israeliani; alla fine della giornata 6 arabi erano stati
uccisi e diversi feriti si contavano da entrambe le parti. Da allora il 30
marzo `e ricordato come il giorno della terra, Yom al-Ard, da
tutti palestinesi, ma, in particolare, per i palestinesi di Israele rappresenta
una festa nazionale, l’unica comune a mussulmani e a cristiani, festa
dell’identificazione con la terra e della resistenza contro l’espropriazione.
L’occupazione della Cisgiordania e di Gaza
Nel 1967 a seguito della guerra dei 6 giorni (5-10
giugno) tutta la Palestina storica ad ovest del Giordano viene occupata di
Israele, ed inizia subito un nuovo capitolo nel processo di espropriazione
della terra palestinese. Come osservato dallo storico israeliano Zeev
Sternehell, la conquista della Cisgiordania e di Gaza viene sentita dalla
classe dirigente sionista, la stessa che ha fondato Israele, come il completamento
della guerra d’indipendenza. “Nel 1967, come nel 1948 e nel 1937, i
leader del paese erano ancora convinti che le frontiere si
creano con fatti sul terreno. Dopo la vittoria dei sei giorni,
il dibattito nel Mapai non riguardò se la dottrina della conquista
dei territori ogni volta che ce ne fosse l’opportunità - messa in pratica
sin dalla prima decade del secolo - fosse ancora valida, ma su come, e in che
grado, la situazione creata dalla sconfitta araba potesse essere sfruttata.” Il 27
luglio 1967, a meno di due mesi dalla guerra, il ministro del lavoro Allon
presenta al governo un piano che prevede l’annessione di Hebron, della valle
del Giordano e del Golan. Questo piano sarà alla base della politica degli
insediamenti dei successivi governi laburisti. Successivamente, il 14 gennaio
1968, lo stesso Allon propone la realizzazione di un insediamento nei pressi di
Hebron. Prese cosı forma l’idea di Kiryat Arba, insediamento che oggi conta
circa 6.000 abitanti e che è uno dei bastioni dell’estremismo nazionalista
ebraico. Proprio da Kiryat Arba venne quel Baruch Goldstein che il 25 febbraio
1994 uccise circa 35 arabi mentre pregavano nella moschea della tomba di
Abramo. In accordo col piano Allon, i governi laburisti cominciano a costruire
insediamenti nella valle del Giordano lungo due fasce, una in pianura ed
un’altra nelle zone collinari adiacenti. Nel 1975 viene poi steso un piano
ventennale per la colonizzazione completa della valle. Obiettivo del piano era
lo sfruttamento delle risorse della valle (terra ed acqua) a fini agricoli. Dal
1977, con i governi del Likud, il piano Allon viene abbandonato e inizia una
fase di colonizzazione più estesa che include le zone montagnose della
Cisgiordania, ormai chiamata Giudea e Samaria. L’obiettivo è di circondare le
città palestinesi con blocchi di insediamenti, rendendo impossibile la
creazione di uno stato palestinese dotato di continuità territoriale. I primi
insediamenti furono costituiti su terra palestinese espropriata per necessita
militari. Nel 1979 la Corte suprema accolse il ricorso di alcuni palestinesi la
cui terra era stata confiscata per costruirvi l’insediamento di Elon Moreh. In
quell’occasione la Corte affermo che l’insediamento non era in realtà
giustificato da ragioni militari ma piuttosto da ragioni ideologiche. Il
governo israeliano allora cambiò tattica: abbandonò i motivi di ‘sicurezza’, e
decise piuttosto di realizzare insediamenti su terre statali. A questo scopo
bisognava naturalmente ampliare il più possibile l’estensione delle terre statali.
Ciò veniva realizzato attraverso una procedura abbastanza semplice ed efficace:
una volta individuata la terra che interessava, il sovrintendente alle proprietà
statali della ‘Amministrazione Civile’, dopo avere consultato la Divisione
Civile dell’ufficio dell’Avvocato della Stato, la dichiarava terra statale;
quindi i mukhtar [i capi] dei villaggi venivano informati. A questo
punto i residenti avevano 45 giorni per ricorrere alla Commissione di Appello
militare. Se nessuno si appellava, allora la terra passava in possesso dei
militari. Altrimenti, la questione veniva portata di fronte ad una commissione nominata
appositamente. Poichè l’onere della prova di essere il legittimo proprietario
della terra ricadeva sull’appellante, considerata la carenza di catasti aggiornati
ed il tipo di proprietà collettiva diffuso in Palestina, era molto difficile
per i palestinesi fare valere le loro ragioni. Come risultato di questa
procedura alla fine del 1999, in Cisgiordania, circa 5.500 kmq risultavano essere
terra statale, laddove prima del 1967 sotto l’amministrazione giordana, solo
527 kmq erano catalogati come terra statale. Le terre statali sono così passate
da circa il 10% della Cisgiordania a circa il 45%. Con questo ed altri
strumenti legali, dal 1967 ad oggi Israele ha espropriato oltre 5.839.000 dunum
di terreno, cioè il 73% della Cisgiordania e della striscia di Gaza.
Gerusalemme
Un caso particolarmente importante, anche per la
sua valenza simbolica `e quello di Gerusalemme. Fra il 1948 ed il giugno 1967
Gerusalemme era divisa in due settori, quello occidentale (Gerusalemme Ovest),
sotto sovranità israeliana, che ricopriva un’area di circa 38 kmq, e quello
orientale (Gerusalemme Est) con la città vecchia, sotto sovranità giordana, con
una superficie di circa 6 kmq. Gerusalemme Est viene conquistata il 7 giugno
1967, al terzo giorno di guerra. Tre giorni dopo, la sera di sabato 10 giugno,
Le autorità israeliane intimano alle oltre 100 famiglie che vivono nel
quartiere di Mughrabi, adiacente al muro del pianto, di evacuare entro tre ore.
I bulldozers cominciano subito il loro lavoro e la mattina di lunedì 12 una
spianata di un acro, di fronte al muro del pianto, è stata completamente
liberata da costruzioni. Negli stessi giorni viene deciso lo spostamento
forzato degli abitanti di quello che prima del 1948 era stato il quartiere
ebraico della città vecchia. Il 29 giugno, a meno di tre settimane dalla fine
della guerra, Israele decide di estendere i confini municipali di Gerusalemme
Ovest, includendovi i 6 kmq di Gerusalemme Est e circa 64 kmq di terra
appartenente a diversi villaggi e municipalità della Cisgiordania. I nuovi
confini furono disegnati in modo da garantire l’obiettivo del mantenimento di
una consistente maggioranza ebraica: diversi villaggi furono divisi, lasciando
fuori dai confini le zone più popolate ed includendovi invece una parte delle
loro terre. Tutta l’area di Gerusalemme fu quindi annessa allo stato di
Israele, annessione illegale dal punto di vista del diritto e mai riconosciuta
dalla comunità internazionale. Con l’annessione inizia una sistematica politica
di discriminazione contro la popolazione palestinese di Gerusalemme attraverso
le espropriazioni ed attraverso una politica urbanistica guidata dall’esplicito
intento politico di favorire lo sviluppo della popolazione ebrea e di creare
situazioni che rendano irreversibile la sovranità israeliana sulla città. Nel
presentare il piano di sviluppo urbanistico, il 6 luglio 1977, il sindaco Ted
Kollek afferma “Il principale obiettivo del piano è di
assicurare il mantenimento del carattere distintivo di Gerusalemme
come capitale di Israele, una città santa ed un luogo di pellegrinaggio come
centro spirituale, una città con un carattere culturale e storico speciale
- e tutto questo può essere mantenuto solamente se la città rimane unificata
sotto la sovranità israeliana. [. . . ] Noi riteniamo che, approvando il
piano, noi stiamo affermando il nostro controllo sull’intera città e stiamo mettendo
le basi per la continuata realizzazione dell’unificazione della città.” Sui
terreni espropriati, in gran parte arabi, furono costruite solamente case per
ebrei. Fra il 1967 ed il 1996 su queste terre erano state costruite 38.500 unità
abitative per la popolazione ebrea e nessuna per gli arabi. Allo stesso tempo i piani
urbanistici limitavano fortemente le costruzioni nelle aree arabe, costringendo
spesso le nuove famiglie palestinesi a trasferirsi fuori dai confini comunali.
Gli insediamenti ebraici andarono crescendo con l’obiettivo di arrivare a
costituire un continuum che rendesse impossibile una nuova divisione di
Gerusalemme lungo la ‘linea verde’ , con la restituzione ai
palestinesi dei quartieri orientali. Secondo le parole del sindaco Kollek, “Gerusalemme
deve essere costruita in modo da rendere impossibile la sua divisione. Senza
le espropriazioni delle terre, decine di migliaia di ebrei non vivrebbero
oggi nei nuovi quartieri”. Il più recente episodio di questa politica di
ebraizzazione di Gerusalemme `e quello di Abu Ghneim, una collina
collocata a sud della città, sul confine nord della cittadina palestinese di
Beit Sahour. Questa collina e le terre intorno sono storicamente proprietà di
Palestinesi di Beit Sahour e del villaggio di Um Tuba. A seguito
dell’occupazione israeliana della Cisgiordania, di Gaza e di Gerusalemme Est,
durante la guerra del 1967, Abu Ghneim ed i dintorni furono
illegalmente annessi a Gerusalemme. Da allora Israele ha sistematicamente
negato ai Palestinesi il diritto di costruire su questa terra con la scusa che
si trattava di una ‘area verde’ protetta. Tuttavia dopo che, nel 1991, i 465
acri della collina furono espropriati, decisione confermata dalla Corte Suprema
nel 1994, la terra di Abu Ghneim fu resa disponibile per un
insediamento ebraico. Si tratta dell’insediamento di Har
Homa, in cui si prevede di alloggiare inizialmente 6.500 nuovi immigrati
ebrei, per arrivare nel giro di pochi anni a 50.000 abitanti. E’ uno schema di
comportamento già applicato in altri casi: una terra araba viene classificata
come area verde, impedendo su di essa qualsiasi costruzione, viene poi
espropriata e non appena cambia il proprietario cambia anche la sua
destinazione: non `e più ‘verde’ e può essere utilizzata per nuovi
insediamenti. Vale la pena a questo punto ricordare che gli “insediamenti
israeliani nei territori occupati violano alcuni principi
fondamentali della legge umanitaria internazionale: la
proibizione di trasferire civili dalla potenza occupante ai territori
occupati, e la proibizione di creare nei territori occupati cambiamenti permanenti
che non vadano a beneficio della popolazione occupata.” Il primo è
sancito esplicitamente nell’articolo 49 della IV Convenzione di Ginevra, mentre
il secondo deriva dalle convenzioni dell’Aia, secondo cui (articolo 55) “Lo
Stato occupante sarà considerato solamente come amministratore e usufruttuario
degli edifici pubblici, delle proprietà immobiliari, delle foreste e delle
proprietà agricole appartenenti allo Stato ostile e situati nel paese occupato.”
Una silenziosa pulizia etnica
Il processo di appropriazione e colonizzazione
della terra palestinese che abbiamo fin qui cercato di evidenziare non è
qualcosa che riguardi solamente il passato. E’ un processo ancora attivo, che
non si `e interrotto neppure dopo l’inizio del processo di pace, malgrado
questo sia basato, almeno stando ai documenti ufficiali, sull’accettazione
della risoluzione 242 dell’Onu, che prevede la restituzione da parte di Israele
dei territori occupati. Dall’inizio del processo di pace (settembre 1993) al
2000 la popolazione negli insediamenti della Cisgiordania e di Gaza (senza
contare l’area metropolitana di Gerusalemme) è raddoppiata arrivando alle
200.000 unita. Dal Luglio 1999 al settembre 2000, durante il governo laburista
di Barak `e stata iniziata la costruzione di 1.924 nuove unità abitative in
insediamenti (di cui 1.384 in Gerusalemme). Nuovi insediamenti comportano nuove
strade riservate ai coloni e quindi ulteriori espropriazioni di terre
palestinesi. Nel 1999 sono stati confiscati 40.178 dunum di terra
palestinese, dei quali 19,691 sono stati usati per la costruzione degli insediamenti
e 16.657 per nuove strade. Non stupisce in questa situazione la sostanziale
sfiducia da parte della popolazione palestinese circa la reale volontà di pace
israeliana. Come dice Edward Said, “[. . . ] ciò che le truppe
israeliane ed i coloni fanno [. . . ] è nulla meno di un organizzato tentativo di
pulizia etnica. La principale differenza tra la Bosnia e la Palestina è che la
pulizia etnica nella prima ha avuto luogo nella forma di drammatici massacri e
carneficine che hanno attirato l’attenzione del mondo, mentre in Palestina ciò
che accade è una tattica di ‘goccia dopo goccia’ in cui una o due case sono
demolite giornalmente, qualche acro è preso qui e lı ogni giorno, alcune persone
sono costrette ad andare via. Nessuno vi presta molta attenzione.”
Brano. Luglio Agosto e Settembre Nero degli Area
Nessun commento:
Posta un commento