La questione delle
terme romane di epoca imperiale, a
rischio sepoltura sotto 35.000 metri cubi di cemento, finalmente arriverà sul tavolo
del ministro dei Beni Culturali Franceschini. Grazie all’interrogazione
parlamentare dei senatori Pd Francesco Scalia e Maria Spilabotte, e al
parallelo orientamento dei deputati Luca Frusone M5S e Nazareno Pilozzi ex Sel,
il ministro dovrà occuparsi dei reperti archeologici presenti nel sottosuolo di
Frosinone.
Non c’è dubbio che la situazione sembra segnare un punto a favore
dei movimenti e delle associazioni che si battono per salvaguardare l’enorme
patrimonio culturale archeologico del
Capoluogo. A corroborare questa ipotesi,
oltre che all’interessamento di deputati e senatori locali, emerge il giallo della scomparsa di una nota con cui il
dirigente del settore Pianificazione Territoriale e Ambiente, Elio Noce,
proponeva alla Direzione Regionale per i Beni Culturali e del Paesaggio di
rivedere la tutela diretta e indiretta dell'area d’interesse archeologico adeguandone l’estensione anche al sito dove
dovranno sorgere palazzi e centri commerciali. La nota in questione è riemersa
con somma indignazione da parte delle associazioni che hanno chiesto ragione al
Comune dell’autorizzazione paesaggistica
concessa senza prima discutere l’oggetto della valutazione del dirigente Noce.
Da
ultimo, gli scandali che recentemente hanno coinvolto alcuni dirigenti della
sopraintendenza aggravano ulteriormente la posizione di chi vorrebbe costruire
sulle terme. Ma anche quando il diritto dei cittadini di rientrare in possesso
di una ricchezza comune sembra essere rispettato, irrompe la forza della proprietà
e dell’interesse privato. La società
interessata alla costruzione del grande blocco residenziale e commerciale sul
sito delle terme, con molta calma e tranquillità si dice disposta a rinunciare
al suo progetto, ma evidentemente reclama il risarcimento delle spese di scavo ,
dei lavori svolti fino ad oggi e dei danni per lo stop al cantiere, oltre a
ribadire che quella operazione urbanistica
avrebbe portato nelle casse del comune
circa un milione di euro in oneri concessori. La posizione è chiara, che i
diritti dei cittadini siano soddisfatti ma…..ridateci i soldi e tanti.
E’ un
argomento questo a cui il Comune non potrà rimanere insensibile per cui, alle
fine, interrogazioni, raccolte di firme, proteste, finiranno per soccombere
alla ragione del capitale e dell’unico diritto inviolabile nel nostro
disgraziato paese che è quello della
proprietà privata. Il tutto però parte da una concezione rovesciata del problema.
E’ evidente che il sottosuolo di
De Matthaeis contiene una vasta area d’interesse archeologico. Un’area
che dalla Villa Comunale si estende
almeno fino all’inizio di Via Roma se non oltre. Ed è altrettanto evidente che gli
ingegneri e gli architetti delle terme
romane all’epoca non hanno edificato la struttura a macchia di leopardo,o a cazzo
di cane, lasciando un buco vuoto proprio in corrispondenza del
terreno dove più di duemila anni dopo un costruttore avrebbe voluto piazzarci
il suo bel palazzone senza avere la rogna di imbattersi nei loro cocci.
Dunque
se è vero, come è vero, che tutta l’area di De Matthaeis sorge sopra un enorme
insediamento archeologico, su di essa deve essere interdetto ogni tipo di
intervento urbanistico che non sia finalizzato alla riscoperta e alla
riqualificazione del sito archeologico.
E quand’anche l’esistenza di una parte delle terme non sia evidenziata
da uno scavo specifico nell’area interessata, su questa stessa area dovrebbe rimanere
comunque il divieto di edificazione, oppure, in mancanza, come detto , dell’evidenza
un privato potrà entrare in possesso dell’area su cui non sono ancora stati eseguiti accertamenti , ma lo farà a suo rischio e pericolo. Acquisirà il terreno, procederà a sue spese
agli scavi per verificare che non vi sia nulla nel sottosuolo, poi se le
ricerche saranno negative la costruzione potrà proseguire, se invece dovessero
venire alla luce i reperti, il privato restituirà tutta l’area al Comune senza nulla a
pretendere in cambio.
Queste dovrebbero
essere le prescrizioni da seguire in un sito interessato da reperti
archeologici. La difesa delle potenzialità culturali del territorio e la loro
fruibilità da parte della collettività dovrebbe essere il primo obbiettivo da
perseguire, dopo e solo dopo arriva l’eventuale interesse del costruttore
privato. In questo caso in vece si è
proceduto in senso contrario. Il privato costruisce comunque, l’interesse sarà
quello di fermare ogni tentativo di accertamento sotto il suolo oggetto dell’edificazione
e di depotenziare e negare qualsiasi documentazione che attesti la presenza di
reperti archeologici.
Se anche questo tentativo dovesse fallire l’ultima ratio
sarà quella di rinunciare a far valere i diritti dei cittadini perché la
decisione sarebbe troppo onerosa per il Comune che dovrà risarcire il
costruttore per lo stop dei lavori e rinunciare agli oneri di urbanizzazione.
Insomma così come è messa la situazione, sarà difficile fermare il progetto
residenziale. E sarà sempre più difficile in futuro se non si riuscirà a
sottomettere gli interessi privati agli interessi della collettività.
Nessun commento:
Posta un commento