Non c’è atto più vigliacco, crudele e aberrante, dello
stupro. La violenza sulle donne è un fenomeno che non accenna mai a declinare,
è diventato un orrendo misfatto strutturalmente incancrenitosi nella
collettività. Ciò che mi indigna di più
è che lo stupro viene strumentalizzato, per cavalcare altre odiose derive per nulla attinenti al fenomeno. Mi riferisco alla connotazione
razzista spesso associata ad un misfatto che con il razzismo non ha
niente a che vedere.
L’uscita di Giorgia Meloni sugli stupratori di Rimini è
illuminante in questo senso. Prima chiama in causa la Presidente della Camera,
Laura Boldrini, perché non avrebbe stigmatizzato gli stupri solo perché,
secondo la Meloni, sono stati commessi da magrebini. Poi, e questo è ancora più grave, la leader di Fratelli d’Italia condanna l’azione
violenta, non per la gravità del fatto in
se, ma perché commessa da “un branco di vermi magrebini”. Il branco è di vermi non perché hanno
stuprato, ma in quanto sono magrebini. Probabilmente se a commettere le violenze fossero stati
italiani, questi non sarebbero stati bollati come vermi.
Strumentalizzare un
atto scellerato come lo stupro, non solo per fini politici, ma anche per attizzare
ulteriormente un clima già incattivito verso gli immigrati, è irresponsabile. Infatti la millantata componente razzista sposta
il problema da quella che dovrebbe essere un’efficace valutazione del fenomeno della violenza sulle donne. Né peraltro mi
pare corretto ridurre tutto ad una questione di genere: contrasto uomo-donna. E’
vero che è sempre
la donna a subire, ma non in quanto essere femminile in se , ma in quanto proprietà,
privata, esclusiva del maschio.
Lo so la “meno” sempre con la storia della proprietà privata.
Probabilmente sarà il solito condizionamento dovuto alla mia ideologia
comunista. Però uno dei tanti insulti vomitati suo social in merito a queste
odiose vicende mi ha fatto riflettere. A un tizio che su FB, condannava la
commistione scorretta fra razzismo e stupro, viene risposto: “Potesse un branco
di negri violentare tua moglie e pure
tua sorella”. Cioè la violenza che viene invocata, non riguarda il maschio,
(potesse un branco di negri ridurti in fin di vita) ma oggetti, di proprietà
del maschio (la donna TUA moglie e la donna TUA sorella) .
Questo è un retaggio della
millenaria cultura patriarcale in cui il
maschio possiede la donna, ne dispone come vuole, ne pretende risposte condizionate, come un telefonino reagisce alle sollecitazioni delle nostre
dita. Un aspetto ulteriormente peggiorato dall’istituzione della famiglia. L’elemento sociale di base in cui l’uomo è signore e proprietario
assoluto di moglie e figli. Il potere e
la potestà dell’uomo sulla donna deriva da misoginie che si perdono nella notte dei tempi.
Già nei miti dell’età dell’oro Zeus per punire
gli uomini, rei di aver accettato il
fuoco (inteso come logos, intelletto) ricevuto in dono da Prometeo, che l’aveva sottratto al Dio Supremo con l’inganno , inviò loro “l’ambiguo malanno” cioè la donna.
Tralasciamo poi le figure bibliche di
Adamo ed Eva i cui destini sono noti. Come si vede è difficile disincrostare un tale consolidato grumo patriarcale. Il concetto della donna, come essere abbietto
e come proprietà dell’uomo, fu radicato già dalla civiltà ellenica,
tanto che alcuni miti, raccontati ad esempio da Diodoro Siculo furono totalmente invisi ai Greci.
Lo storico greco di Agirio (Sicilia) nella
sua opera Storia Universale racconta
di un'Isola Felice situata ai margini del mondo conosciuto. Qui la fertilità della terra e la dolcezza del clima generavano una tale quantità di
frutti da sfamare completamente tutti gli abitanti.
In quel paradiso donne e uomini vivevano in pace ed in armonia. L’organizzazione
sociale era molto particolare. Gli abitanti non si sposavano e i figli non
erano allevati dalla donna che li aveva generati, ma venivano educati dall’intera
collettività, e amati tutti allo stesso
modo. Le donne che allattavano spesso si
scambiavano i neonati affinchè le madri
non potessero riconoscere i loro figli.
Si era creato un egualitarismo che contraddiceva il più intoccabile tabù
della società patriarcale: il principio di proprietà del figlio e della madre
da parte del padre-padrone. Anzi in una tale esaltazione dell’ armonia
universale, garanti dell’amore erano le donne. Che, per questa loro fondamentale
funzione, ricoprivano un ruolo preminente
nell’organizzazione sociale. Una figura del tutto
diversa della madre oggetto di proprietà del padre.
E’ chiaro che l’isola raccontata da Diodoro
Siculo è un esaltazione del mito matriarcale. Ma per dare l’avvio ad un profondo
cambiamento, sulla situazione femminile dobbiamo compiere una rivoluzione
culturale così profonda, da avvicinarci a quella organizzazione sociale. Bisogna rimettere in discussione il concetto di
proprietà che, già aberrante a livello economico, diventa pura barbarie nel rapporto fra i generi.
Un processo di
questo tipo può partire solo all’interno di uno scenario culturale in crescita,
dove le istituzioni, e la scuola in particolare, si pongano l’obbiettivo di indirizzare verso una visione
di grande umanità, del rispetto dell’altro in quanto essere paritario, sia esso
uomo o donna. Il contesto odierno, invece, presenta un irreversibile
disfacimento culturale. Falle enormi di becerume si aprono nei rapporti sociali
. In questi spazi si insinua la barbarie, alimentata dall’individualismo, dall’esaltazione
della competitività,
dall’obbligo di prevalere a tutti costi.
Un contesto in cui la proprietà, privata, patriarcale si esalta ancora di più, e
si rovescia in modo crudele verso le donne, tutte le donne, ma in particolare verso
quelle che rivendicano la loro non appartenenza. Se non si mette in campo una prospettiva
rivoluzionaria, che rovesci il perfido individualismo imposto dal disvalore
liberista, mai ci si potrà indirizzare verso una prospettiva di società
matriarcale. E allora continueremo a indignarci quando apprenderemo di stupri e
violenze sulle donne, convinti che la semplice indignazione, al massimo un po’ di
rabbia possa essere sufficiente a lavarci la coscienza.
P.S. le notazioni mitologiche sono tratte dal libro di Alfonso Cardamone "Graffiando il mito"
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