Il 9 ottobre di 50 anni fa nel villaggio di La Higuera in
Bolivia veniva ucciso Che Guvara. L’assassinio avvenne per mano di un ufficiale
dell’esercito boliviano, Andres Selnich, che lo freddò con un colpo di pistola dritto
al cuore dopo aver ricevuto da lui uno schiaffo. Il Che picchiò l'ufficiale con le ultime forze che gli rimanevano mentre giaceva, ferito e sfinito su una barella.
Le commemorazioni, espresse attraverso autorevoli interventi per il cinquantenario della morte di Ernesto
Guevara (detto il Che) stanno riempiendo la rete e gli organi di stampa, in
particolare quelli che in qualche modo professano idee di sinistra (vere o
presunte). Vorrei quindi indirizzare questo intervento su una strada diversa. Sottolineare cioè lo spirito rivoluzionario che il medico argentino è riuscito a trasferire nel processo
creativo di molti musicisti. Potremmo dire che il 9 ottobre 1967 Guevara cessava di lottare in prima
persona per la libertà universale, ma
continuava la sua battaglia nelle espressioni creative di artisti e musicisti.
La
voglia di celebrare le gesta del
rivoluzionario argentino hanno coinvolto, nel corso degli anni, tutti gli stili
: dalla musica popolare proveniente dall’America Latina, dal Sud
America , al folk, fino al rock. La produzione musicale dedicata al Che è
sterminata, ma qui vorrei concentrarmi solo sui contributi jazzistici. Giova precisare che questo intervento trae spunto
dall’ottimo articolo intitolato "La musica del Che" scritto da Guido Michelone e pubblicato sabato 7 ottobre, su “Alias,
inserto culturale de “il manifesto”.
Non
vi è dubbio che una musica tesa a cercare sempre nuovi spunti creativi come il jazz non potesse
ignorare lo spirito rivoluzionario del guerrigliero argentino. Come non è da trascurare
il fatto che l’espressione musicale afroamericana spesso è diventata un
manifesto politico, in particolare per la difesa dei diritti civili dei neri. Strange Fruit, il brano cantato da
Billiye Holiday, inciso 80 anni fa resta uno dei primi e forse più incisivi
atti politici della musica nera. Il jazz proprio per le sue origini popolari comuni
alle minoranze, ai non conformi, non solo neri, ma a tutti gli immigrati, gli emarginati, i poveri, traduce in suoni la lotta di classe.
La storia americana fra la fine
degli anni ’50 e l’inizio dei ’60, nel periodo cioè di maggiore attività
rivoluzionaria del Che, vide la recrudescenza della lotta interna all’imperialismo
. In questo frangente più stretta divenne la connessione fra i liberals bianchi che lottavano contro l’oppressione borghese e i neri impegnati nella lotta per i diritti
civili. Nel 1954 il Comunist Control
Act, aveva messo fuori legge il partito comunista, e la rivoluzione Cubana del
1959, di cui Guevara fu grande protagonista, aveva portato il pericolo rosso a due passi
dalla Florida . Non solo, ma Castro, a seguito di quella rivoluzione cacciò , oltre ai gangster americani, anche le multinazionali che a Cuba erano diventate
padrone di tutto.
Cuba come fronte antimperialista ad un tiro di schioppo dall’impero,
spinse a raggruppare sotto la motivazione della lotta antimperialista tutte i
conflitti sociali che in quel periodo
stavano rifiorendo e proliferando, compresa la grande battaglia dei neri.
Bianchi, neri,ispanici, poveri,
diseredati, vietnamiti, cubani tutti insieme uniti contro l’imperialismo.
Ciò non poteva sfuggire ai jazzisti, soprattutto quelli più politicizzati ed impegnati nel nuovo linguaggio di
liberazione armonico-melodica denominato
free jazz. Free appunto, libero come Guevara, una
partigiano internazionalista, universale, ribelle, comunista. Le operazioni
improvvisative si svolsero sostanzialmente su due brani: la ballata “Hasta Siempre” composta dal musicista
cubano Carlos Puebla nel 1965 quando Guevara lasciò definitivamente Cuba per
portare la rivoluzione in Congo ed in Bolivia e “Song for Che” una ballad strumentale scritta dal contrabbassista
statunitense Charlie Haden.
La Liberation Music Orchestra guidata da Haden,
insieme alla moglie Carla Bley, composta da jazzisti che diventeranno punti di riferimento
del free jazz (come i sassofonisti Gato Barbieri e Dewey Redman, o come il trombettista
Don Cherry), incise nel 1970 un disco in
cui, oltre a Song for Che sono riproposti in chiave jazz brani popolari di lotta della rivoluzione spagnola “El Quinto Regimento”, “Los Quatros
Generales”, “Viva la Quince
Brigada”.
In realtà la prima versione di Song for Che fu incisa nel 1969 dal quartetto di Ornette Coleman,
con lo stesso Haden al contrabbasso, nell’album Crisis
.Qui il tema è appena accennato e conduce ad una veemente improvvisazione
free. In realtà le evoluzioni atonali del free non erano molto popolari la
musica di protesta che risuonava ad Harlem era il R&;B. Ne conseguì che il nuovo stile si affermò in modo più solido
in Europa dove le lotte di librazione e per i diritti sociale e civili non
mancavano.
Molti jazzisti americani trovarono
più successo nel Vecchio Continente che in patria. Non di meno s’imposero
all’attenzione come eccellenti interpreti del nuovo stile molti musicisti europei. E’all’organista belga Fred
Van Hove che si deve il brano “Requiem
for Che Guevara” Si tratta della facciata A di un vinile live registrato al
Berlin Jazz Festival il 10 novembre 1968. Nel giovane sestetto figuravano, oltre a Van Hove,
il batterista Han Bennink e il
sassofonista Willem Breuker, validi esponenti dell’avanguardia olandese.
Ma gli
omaggi dedicati al Che sono proliferati anche dopo gli anni ’60. Nel 1974 il quartetto
guidato da Jan Garbarek al sassofono e
dal pianista Bobo Stenson, norvegese il primo, svedese il secondo, proposero una struggente versione strumentale di Hasta
Siempre . Il brano, inserito nel disco Whichi-Tai
To, era caratterizzato da un’improvvisazione
pulita e dolente di Garbarek. Anche il batterista inglese, ex membro dei Soft Machine, Robert Wyatt, da sempre
schierato per l’internazionalismo socialista, fornì nel 1975 una versione
eccellente ma più ortodossa di Song for Che, inserita nell’album Ruth is Stranger than Richard mentre il
tema di Hasta Siempre fu riproposto dallo stesso Wyatt nel 2007. Una versione di Song for Che, inserita in un brano dal titolo Reducing
Agent è eseguita nel 2006 dall’ensemble
nipponico Otomo Yoshihide’s New Jazz Quintet.
E in Italia? Anche qui gli omaggi al Che non sono mai
mancati in tutti i contesti musicali. In
ambito jazzistico nel 2003 il sassofonista napoletano Daniele
Sepe inserì una versione di Hasta Siempre nel CD Suonarne 1 per educarne 100 , mentre in Vitae Perditae, il jazzista partenopeo ripropse Zamba
del Che un requiem folk composto dal cantante cileno Victor Jara.
Ma il
jazzista italiano più guevarista di tutti è il pianista Gaetano Liguori. Un costante impegno militante nel movimento
studentesco e nel panorama antagonista italiano
contraddistingue un’attività che mette insieme lotta politica ed espressione
rivoluzionaria musicale. Nel 2004
pubblicò per la collana “il manifesto”
il CD “il comandante”. E’ praticamente un manifesto programmatico, dove l’autoritratto
dell’artista in copertina strizza l’occhio all’immagine del Che.
In un’intervista
Liguori racconta : “Sono stato profondamente segnato dalla morte
sacrificale del Che e, sul piano
artistico, dalla commemorazione fatta al contrabbasso da Haden. La lezione del Che era ancora palpabile a Cuba
undici anni dopo la sua scomparsa; ne parlavamo con giovani e meno giovani che
venivano ai concerti -Liguori si riferisce al festival de la
Juventude organizzato a Cuba nel 1978 dove parteciparono anche gli Area, Mauro
Pagani, il Canzoniere Italiano, Giovanna Marini, Paolo Pietrangeli, Francesco
Guccini ndr- ma al ritorno ci fu una polemica tra me e Guccini, che
sosteneva che i Cubani non capivano niente di musica. Io invece il contrario.
Il fatto era che personalmente suonavo all’Avana a contatto più diretto con un
pubblico specialistico, perché mi esibivo in un club di musica classica
contemporanea. Intenditori, insomma, che apprezzavano il free jazz. Guccini fu
mandato in una fabbrica di birra: cantava in italiano che la gente non capiva e
suonò maluccio “La locomotiva”.Con il
fior di chitarristi cubani presenti era logico che non ricevette grandi
ovazioni”.
Ma se si chiede a Gaetano Liguori cosa significhi oggi Ernesto Che
Guvara è sin troppo esplicito: “Nella suite Cile
libero Cile rosso (1974) dal mio primo omonimo album, inserivo alcune note
della canzone del Che; quarant’anni dopo
Noi Credevamo e…crediamo ancora, non
è solo il titolo di un disco, ma una dichiarazione di intenti per onorare la
memoria di gente come Malcom X, Martin Luther King, Mao, Ho ChiMin, Nelson
Mandela e, appunto, Che Guevara. E comunque non sarà un caso che anche nella
nuova Suite della libertà io citi di nuovo quella canzone . “Hasta Siempre Comandante”.
Dunque HASTA
SIEMPRE COMANDANTE.
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