Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

domenica 20 marzo 2011

LE VERE RAGIONI DELL'ITALIA IN GUERRA.

di Marco Ferrando




I
l Presidente Napolitano ha fatto sfoggio della sua migliore ipocrisia presentando l'ingresso dell'Italia in guerra come sostegno al “Risorgimento arabo”.

Il risorgimento arabo in Tunisia, Egitto, Libia si è levato esattamente CONTRO i regimi dispotici che tutti i governi italiani hanno sostenuto, economicamente e politicamente, facendo con essi i migliori affari. USA e UE continuano a sostenere contro il risorgimento arabo la dittatura saudita, la monarchia del Bahrein, la brutale repressione del regime Yemenita, a esclusiva difesa delle proprie posizioni militari e strategiche nella regione. Nella stessa Libia il “democratico” occidente si è ben guardato dal rifornire di armi il “risorgimento libico”, di cui non si fida, privilegiando invece il proprio diretto ingresso in guerra coi propri bombardieri.

Il fine dell'imperialismo è molto chiaro, anche nei suoi tentennamenti e contraddizioni. Le vecchie potenze coloniali di Francia ed Inghilterra cercano di recuperare a suon di bombe un proprio spazio economico e politico nel Maghreb, in diretta competizione col capitalismo italiano (a partire dalla Libia). L'imperialismo italiano, sino a ieri complice diretto del regime di Gheddafi e dei suoi crimini, si è prontamente allineato, dopo vari zig zag, alla missione di guerra al solo scopo di prenotarsi un posto al sole nella ripartizione delle zone di influenza nel Maghreb, e di difendere dalle insidie degli “alleati” concorrenti le sue attuali posizioni ( a partire dai pozzi petroliferi in Libia). La posta in gioco non è solamente il controllo politico sulla Libia post Gheddafi ( dove vi sarà uno sgomitamento tra “alleati” nella ridefinizione delle zone petrolifere), ma la spartizione dei nuovi equilibri politici nell'intera regione araba, scossa dalle rivoluzioni popolari. Il fine comune dell'imperialismo, in ogni caso, è acquisire direttamente sul campo leve di intervento e condizionamento politico sui rivolgimenti in corso, bloccare la loro ulteriore espansione, far argine ad ogni loro possibile sviluppo in direzione antimperialista ed anticapitalista. I bombardieri sono solo i veicoli di queste operazioni imperialiste. 

Parallelamente, la guerra diventa, ancora una volta, una illuminante cartina di tornasole della politica italiana. Il PD e la UDC non solo hanno rivendicato e votato in prima fila la spedizione di guerra, rimproverando a Berlusconi tentennamenti e ritardi; ma hanno salvato con questo il governo Berlusconi dalle contraddizioni della sua maggioranza, garantendo in un colpo solo la partecipazione italiana alla guerra e il governo più reazionario del dopoguerra: e dunque la continuità della sua politica bonapartista, delle sue minacce ai diritti costituzionali, della sua offensiva antioperaia e antipopolare. “E' stato un atto di responsabilità” gridano inorgogliti, con sorriso tricolore, i capi del PD. E' vero. Un atto di responsabilità verso gli interessi dell'Eni, degli industriali e banchieri italiani ( tanto esposti nel Maghreb), delle gerarchie militari, delle istituzioni dell'imperialismo internazionale ( dall'Onu alla Nato). Un atto che conferma una volta di più, se ve ne era bisogno, l'organica appartenenza del PD al campo della borghesia italiana e dei suoi interessi imperialisti.

Ora tutte le sinistre sono chiamate dai fatti a conclusioni coerenti. Non si può essere contro la guerra e al tempo stesso continuare ad allearsi coi partiti di guerra. Non si può essere contro la guerra e continuare a rivendicare l'Alleanza “democratica” con partiti di guerra (con tanto di sostegno esterno a un suo eventuale governo). Occorre scegliere. Pena la conferma di un intollerabile doppio binario tra le parole e i fatti.

Quanto a noi, continueremo con coerenza sulla nostra rotta. Assumeremo la lotta per il ritiro dell'Italia dalla guerra all'interno della nostra più vasta campagna nazionale per la cacciata del governo Berlusconi ( “Fare come in Tunisia e in Egitto”): denunciando ovunque il salvataggio del governo da parte del PD nel nome della guerra, e dunque sbugiardando la falsità della demagogia antiberlusconiana delle opposizioni parlamentari liberali. Al tempo stesso, e proprio per questo, svilupperemo con più forza la necessità di una aperta rottura col PD, ad ogni livello, da parte di tutte le sinistre politiche , sindacali, di movimento, quale condizione necessaria per liberare un'opposizione radicale e di massa a Berlusconi e al suo governo, capace di vincere. Infine combineremo tutto questo col pieno sostegno alla rivoluzione araba e alla sua propagazione, contro ogni ingerenza dell'imperialismo, a partire dall'imperialismo italiano: ad un secolo esatto dalla spedizione coloniale di Giolitti in Libia, diremo come allora “Non un soldo per la guerra libica”,”No alla guerra tricolore”.

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