Da ragazzini nelle
band ( alla mia epoca si chiamavano “complessi”),
il batterista era come il portiere nel calcio.
A pallone il più scarso si metteva in porta, così come nei complessi il
meno dotato si metteva a percuotere caccavelle e vecchie cazzarole.
La vera
fortuna del batterista era possedere la
batteria così, come per il ragazzino scarso a giocare a pallone, la differenza
la faceva il possesso del pallone. Non
essendoci ancora le salette di prova, se volevi suonare dovevi andare a casa
dal batterista, il quale, non potendo per
evidenti motivi logistici spostare tamburi e cimbali era costretto ad ospitare gli atri . Come
dunque non far suonare uno che ti metteva a disposizione il garage, inimicandosi tutto il vicinato costretto a sopportare il casino?
Ecco perché, conscio di una partecipazione
musicale non propriamente legata alle doti tecniche , il batterista, si proponeva
come una figura secondaria. In verità, per esperienza personale, posso dire che quando con altri tre coraggiosi
amici musicisti ci mettemmo in testa di fare le cover…. (pardon allora non
si chiamavano così), i pezzi di gruppi come gli Area o Napoli Centrale il mio
ruolo di drummer non fu così semplice. Provate voi ad andare appresso
a gente come Giulio Capiozzo o Franco
del Prete, ce l’avete presente l’intro di “Campagna” di James Senese e soci? Se
non ce l’avete presente cliccate QUI.
Al di là di queste reminiscenze giovanili è un
fatto che nei maggiori gruppi rock a farla da padrone sono chitarristi,
cantanti, tastieristi. Il batterista viene spesso ricordato più per eccessi avulsi dal contesto
musicale. Facciamo qualche esempio, lo
sapete come si chiama il batterista dei Rolling Stones? Certo che lo sapete,
sto cazzeggiando è …….azzo devo andare su Wikipedia…..perchè….non me lo ricordo……ah si è Charlie
Watts. Se però dico Mick Jagger e
Keith Richards, la botta di notorietà
degli Stones sale alle stelle.
E di Ringo Starr ne vogliamo parlare? E’
sicuramente più noto per essere uno dei fab four che non per i suoi paradiddle. Lo stesso dicasi per Nick Mason batterista dei
Pink Floyd, più famoso per la sua collezione di Ferrari che per il suo modo di
ricamare groove. Di John Bonham, sponda
Led Zeppelin, e Keith Moon, sponda Who,
rilevanti sono le torture che i due infliggevano ai loro fusti e alle loro
pelli. Alcuni passaggi ritmici possono
essere apprezzabili, ma niente a che vedere con lo spolvero riconosciuto ai rispettivi
compagni chitarristi Jimmy Page e Pete Townshend.
Ci sono delle eccezioni, il
rock è un campo talmente sconfinato! Ad esempio non mi toccate Ian Paice dei
Deep Purple. E' un rutilante propulsore ritmico, vera spina dorsale di una
band dai valori tecnici assoluti. Ritchie Blackmore, Jon Lord, Ian Gillan,
Roger Glover, ma anche Dave Coverdale e Glenn Hughes, parliamo di sontuosi rocker fra cui Paice,
non solo non sfigurava, ma spesso emergeva. Avete presente il timing di You fool No One? Se non l’avete presente
cliccate QUI. E non toccatemi Carl Palmer, un batterista che già il
nome della band poneva al pari degli altri due virtuosi suoi compagni Keith Emerson e Greg Lake (Emerson Lake and
Palmer appunto). E di Franz di Cioccio della Pfm, o Michi dei Rossi delle Orme ne vogliamo
parlare? Favolosi, ma ce ne sono tanti
altri, il discorso potrebbe continuare a lungo.
Comunque,
sia come sia, il batterista è stato sempre considerato un po’
un "caciarone". Anche nel jazz . Fino ad un certo punto però. Fino a quando, cioè, negli anni ’40 dal Minton’s Playhouse di New York non emerse Kenny Clarke. Dopo di lui la batteria
non fu più la stessa, così come dopo il Be Bop, cui Kenny Clarke era autorevole esponente, il jazz non fu più lo stesso. Da Clarke,
passando per Max Roach, Buddy Rich, Art Blakey, il drummer divenne un elemento creativo fondamentale,
come dimostreranno i sommi Elvin Jones, Tony Williams e Jack DeJohnette. Guarda caso due su tre (Williams e DeJohnette) protagonisti delle memorabili ritmiche di Miles Davis. Elvin Jones, invece fu trascinatore della
ritmica di John Coltrane, per anni sassofonista di Miles Davis. Come la metti la metti Davis c’entra
sempre. Per avere testimonianza dell’assoluto valore creativo di questi musicisti
potrebbe bastare la performance di Elvin Jones in My Favorite Things con John
Coltrane. L’avete presente? Se non l’avete presente cliccate QUI.
Comunque
batteristi di tutto il mondo uniamoci! Siamo un po’caciaroni ma è il nostro
modo essere ancestrali, primitivi non lo
dico io, ma lo afferma nientepopodimeno che Carl Jung il fondatore della Psicologia Analitica
il quale scrisse: “Il suono del tamburo,
che non parla il linguaggio della testa, si appella ad un livello ancora più
profondo rispetto a quello del cuore. Parla il “più antico linguaggio del
ventre e del plesso solare” proveniente direttamente dagli strati più profondi dell’animo umano, il livello degli antenati ancestrali e i
livelli sottostanti”.
Chiaro No?
E per non farci mancare niente ecco a noi Tullio De Piscopo e Billy Cobham.
Good Vibrations
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