La legge appena approvata dal governo Renzi non abolisce le provincie,
ma la democrazia. La facoltà di eleggere un Presidente di Giunta passa così dai
cittadini, sempre meno coinvolti nella vita politica del proprio territorio, ai
sindaci. Questi ultimi, riunendosi in consiglio, potranno eleggere un
Presidente le cui competenze saranno successivamente stabilite dal Ministero
dell’Interno, affermando in tal modo una politica sempre più autoritaria ed
autocratica, a scapito del diritto che ogni cittadino dovrebbe vedersi
riconosciuto, vale a dire il diritto di rappresentanza attraverso il voto
democratico. Le motivazioni di questa scelta, come tutti ben sanno, hanno una
natura economica. Tuttavia il risparmio che tanto viene pubblicizzato e che
dovrebbe scaturire dal provvedimento risulta secondo la Corte dei Conti
pressoché nullo. Non fa eccezione ovviamente la provincia di Frosinone, il cui
costo rappresenta l’1.6% del costo totale delle provincie italiane, quindi
pressappoco 11 miliardi annui dei circa 808 miliardi totali a carico delle
casse dello stato. Viene da chiedersi dov’è il risparmio dal momento che
l’istituzione delle cosiddette Aree Metropolitane potrebbe comportare costi
ulteriori e vanificare il già esiguo risparmio di circa 100 milioni all’anno in
gettoni di presenza e rimborsi vari. E ancora, dov’è il risparmio se si
considera che ogni singolo dipendente provinciale dovrà necessariamente
proseguire il proprio rapporto lavorativo in un ente dello stato, lasciando
invariata la propria situazione retributiva. Non si può non convenire a questo
punto che l’analisi sulla situazione delle provincie illustrato dal Commissario
della Provincia di Frosinone Patrizi è condivisibile e, in egual misura,
preoccupante. Le scelte di Renzi sono inefficaci se non del tutto
contradditorie e mettono al centro del mirino, tra le altre, la Provincia di
Frosinone, condizionando politicamente in tal modo la più industrializzata
provincia del Lazio. Un organo che negli anni ha saputo operare per gli interessi
dei cittadini, sostenendo le numerose istanze dei lavoratori della provincia
specie in periodo di crisi come quello attuale. I Comunisti Italiani contestano
la riforma sostenendo che quella che si vuol far passare come l’abolizione
delle provincie, così com’è stata concepita, è un falso e rischia di provocare
peggioramenti nel già difficile rapporto tra cittadino ed istituzioni. Noi non
consideriamo necessario dover per forza abolire degli organi dello Stato, come
nel caso ad esempio del Senato, per determinare un risparmio e contenere gli
ormai famosi costi della politica. Basterebbe infatti ridurre i compensi di
parlamentari e dirigenti pubblici. Una cosa che potrebbe essere realizzata tra
l’oggi e il domani e senza sconvolgimenti istituzionali e danni alla vita
democratica del paese. Pur conservando la nostra posizione critica, e nel
timore di ulteriori scelte infelici del governo, proponiamo quantomeno un
riordino razionale di quegli enti che attualmente fanno capo alla provincia e
che dovranno quindi essere riassegnati. Importante è per esempio il destino dei
vari centri per l’impiego, i quali, a nostro avviso, dovrebbero far riferimento
all’INPS, fornendo così un funzionale e diretto supporto per tutto ciò che
riguarda il mondo del lavoro.
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