Il congresso della Cgil più scontato della storia si è concluso con una mezza implosione. Ma non si può dire che si sia trattato di una conclusione inaspettata. La maggioranza “bulgara” del 97,5% con cui Susanna Camusso è salita alla tribuna del palco di Rimini era troppo disomogenea per essere vera e per reggere la prova dei fatti. Tanto che nella votazione individuale per il Direttivo ha raccolto appena il 69%, mentre il documento della maggioranza da lei guidata ha avuto l'80. Una caduta verticale di fiducia che dovrebbe sconsigliarle “azzardi autoritari” a breve termine (come il commissariamento della Fiom, che sembrava cosa fatta fino pochi giorni fa). Ma non è detto.
I “fatti”, tra l'altro, sono tutti di dimensione strategica, non occasionale. Parliamo della rottura palese del legame col Pd, della fine della “concertazione” (dichiarata dal governo per bocca di Renzi, che è anche segretario di quel partito), della crisi economica continua che erode le basi su cui era costruita la Cgil degli ultimi 25 anni: “ruolo politico” prevalente sulla rappresentanza reale degli interessi dei lavoratori, con “mediazioni” sempre più azzardate e distanti rispetto alle condizioni materiali di lavoro, alla dinamica dei salari, alla giungla contrattuale derivante dalla legalizzazione della precarietà a vita.
Giorgio Cremaschi esce da questo congresso quasi “vittorioso”, con una percentuale di voti superiore a quella “concessa” dalla segreteria confederale in seguito a una gestione dei congressi locali che anche Maurizio Landini ha definito sempre “truffaldina”. Contemporaneamente, Cremaschi ha rinunciato a candidarsi nel Direttivo Nazionale, rimanendo a questo punto un “semplice iscritto” che si batte però – come sta facendo con Ross@ - per una prospettiva a più ampio raggio.
Lo abbiamo intervistato stamattina per fare il punto della situazione.
Se dovessi condensare in una frase questo congresso?
È stato il congresso della paura e della rassegnazione. Come diceva Mao, “bisogna guardare alla tendenza e alle controtendenze”, ossia a quello che è avvenuto di positivo pur dentro una situazione di degrado per il mondo del lavoro. In positivo, si è verificata una forte opposizione, molto più ampia di quanto era nelle premesse. Ma è anche stata confermata una linea catastrofica di debolezza, paura e rassegnazione di tutta la Cgil. Condita da una gestione autoritaria e burocratica.
Un congresso che si è concluso con un inno all'impotenza della Cgil e all'unità con Cisl e Uil come unica condizione per la possibile sopravvivenza. Con una difesa dell'accordo del 10 gennaio sulla rappresentanza che è a sua volta un segno di autoritarismo e rinuncia alla contrattazione; perché quell'accordo si limita a recepire il “modello Pomigliano” ed estenderlo a tutti quelli che ci vogliono stare.
Perché dici che è una linea di rassegnazione?
Della relazione conclusiva della Camusso mi ha colpito un passaggio: “bisogna aprire una vertenza sulle pensioni, ma insieme a Cisl e Uil, altrimenti si viene sconfitti come sulla riforma Fornero”. Stava polemizzando direttamente con me, che avevo parlato della necesssità della ripresa di una pratica conflittuale, anche sulle pensioni. Ma perché? Nel caso della “riforma Fornero” non siano andati esattamente insieme a Cisl e Uil (con le famose tre ore di sciopero a fine turno, ndr)? E non siamo stati sconfitti lo stesso? O anche per questo?
Noto insomma una coazione a ripetere, tipica di chi ha paura. È la reazione di una burocrazia che si sente sotto attacco, che soffre la perdita di contatto con il Pd e ha paura di non contare più niente. E quindi reagisce con l'autoritarismo, con la chiamata all'unità intorno al gruppo dirigente, ma senza alcuna proposta. Qual'è la piattaforma della Cgil uscita da questo congresso? Non c'è. C'è un semplice aggrapparsi all'”unità” con Cisl e Uil, e all'accordo del 10 gennaio. Si punta a sopravvivere con questi due elementi. E basta. Alla nascente paura di non contare più niente si reagisce insomma con comportamenti che non ti fanno davvero contare più niente.
Guardiamo a come è stato vissuto il rapporto-scontro con Renzi. Il congresso si è mostrato rabbioso e rancoroso, ma impotente. Per esempio, sulla fine della “concertazione” - dichiarata da Renzi – ha reagito come la volpe con l'uva: “non ce ne importa niente”. Ma un sindacato come la Cgil attuale è stato costruito sulla concertazione, non può farne a meno, è la sua ragion d'essere.
Si è ragionato, nel congresso, sul fatto che a questo punto la Cgil sta perdendo rapidamente il rapporto con coloro che dovrebbe rappresentare (i lavoratori) e contemporaneamente anche il “ruolo politico” fondato sul rapporto col governo e il mondo politico?
La Cgil sta perdendo in basso e in alto. Perde ruolo e potere sia tra la gente (basti pensare al ruolo che aveva all'epoca di Cofferati, “grande casa comune della sinistra”), sia col Pd e il governo. Ma su qeusto non si è affatto ragionato. Ci sono stati molti lamenti, che hanno però solo evidenziato la paura della burocrazia. Non c'è stato nessun riconoscimento della crisi dell'Organizzazione. La Cgil esce dal congresso peggio di come ci era entrata. Con un'accentuazione della crisi.
La “tendenza” al degrado è chiara. Quali sono le “controtendenze”? E fino a che punto sono positive?
Diciamo che siamo soddisfattissimi della battaglia fatta come “Il sindacato è un'altra cosa”. Era stata decisa la nostra cancellazione, e in molti congressi territoriali si è visto di tutto. Ma alla fine hanno dovuto cedere e rinunciare. Abbiamo preso più voti di quanti delegati ci erano stati riconosciuti. Usciamo dunque dal congresso più forti e organizzati di prima. Ma siamo più forti all'interno di un'organizzazione che è invece in grave crisi. Questo cambia anche il nostro modo di stare dentro la Cgil. Non possiamo più pensare di fare soltanto una “corrente”, come si è fatto fin qui, perché tutta l'organizzazione nel suo complesso è in crisi. Quindi dobbiamo essere parte – come area interna – di un fronte molto pià ampio di lotta e unità con tutto il sindacalismo conflittuale, di base, con i movimenti e le lotte sociali in atto.
L'unità si costruisce, per esempio, nella lotta comune contro l'accordo del 10 gennaio. Perché la crisi andrà avanti il congresso non ha risolto alcun problema.
Non siete però più l'unica opposizione a Susanna Camusso...
È stata smentita – ed è positivo – la tesi degli “emendatari” al documento di maggioranza. Landini e Rinaldini avevano cominciato il percorso congressuale insieme a Camusso, spiegandoci che non era più tempo per “mozioni alternative”, ma che bisognava stare dentro la maggioranza per condizionarla e cambiarla.
Questa linea si è dimostrata priva di ogni concretezza. E al congresso di Rimini hanno dovuto anche formalmente passare all'opposizione. È certamente positivo. Ma ora l'opposizione bisogna farla e costruirla sul serio. E non solo al gruppo dirigente della Cgil, come pure bisogna fare, ma al giro di vite nell'austerità che sta uccidendo il paese. Ovvero a Renzi e al governo. Landini su questo punto è stato fin qui assai meno chiaro. Sarebbe un errore pensare che possa esistere un “fronte del rinnovamento”, trasversale, contro un “fronte burocratico”. Prima di tutto bisogna infatti ricostruire il conflitto. Per dirla con il linguaggio di una volta, l'”avversario principale” è il governo, l'Unione Europea, il sistema delle imprese. Come “derivata secondaria”, c'è anche la Camusso e il fronte burocratico, che fin qui è stato complice silenzioso e ora viene scaricato. Ma non è Camusso “il motore” dell'offensiva reazionaria e padronale. Solo un complice. Bisogna insomma sempre avere il senso della “gerarchia delle priorità”, nella lotta politica e sociale. Non si può in nessun modo cedere alle facili suggestioni del “nuovismo”.
Insieme a Landini e Rinaldini abbiamo fatto molte battaglie comuni, nel congresso, ma dobbiamo essere consapevoli che ci troviamo in una situazione di degrado totale per quanto riguarda il mondo del lavoro. Se fai sul serio l'opposizione a Camusso, ti scontri subito anche con Renzi. Non puoi pensare che sia un interlocutore; è un avversario.
Ascoltando alcuni discorsi all'interno del congresso, mi sembra che ci sia il rischio che la Cgil venga alla fine percepita come una specie di “corrente bersaniana” del Pd. Diciamoci la verità: Renzi prende tutti i giorni a ceffoni la Cgil (non Cisl e Uil, che sente ormai come “cosa sua”), indicandola pubblicamente come una “corrente fassiniana” (nel senso di “Stefano Fassina chi?”), di fatto subalterna. Questo pone di nuovo e in ben altri termini la questione dell'autonomia sindacale dalla politica e dai partiti. Lo scontro tra Camusso e Renzi è uno scontro vero, mi sembra, ma l'apparato sindacale che sostiene la prima non è disposto a portarlo avanti sul serio. Non ha la cultura politica e l'autonomia per farlo. Renzi quindi affonda nel burro...
Non ti sei ricandidato per il Direttivo Nazionale e rimani come semplice iscritto. Cosa significa?
Ad un certo punto bisogna farlo, è anche un problema di igiene politica. Penso che bisogna costruire un fronte molto più ampio e conflittuale, come dicevo prima. E cercherò di dare un contributo in questa direzione. C'è una situazione generale terribile, stiamo andando verso una “Grecia con la vaselina”, compreso l'attacco alla democrazia. Ho fatto una scelta per una militanza senza confini. In qualche misura l'ho fatto sempre, nella mia storia di militante. È arrivata l'ora di farlo anche formalmente.
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